La ricostruzione

Bari, quanti incroci tra sinistra e malavita: fatti e coincidenze

Pietro Senaldi

«Volevamo assassinare Tatarella». Così, nel novembre 1995, titolava il Secolo d’Italia. Il quotidiano riportava le dichiarazioni di un pentito che parlava di un attentato che la mafia barese stava progettando l’anno prima contro l’allora vicepresidente del Consiglio del governo Berlusconi nonché capogruppo di Alleanza Nazionale alla Camera. Un’azione paramilitare, da eseguire con tanto di granate, nella villa di Pinuccio. Questo accadeva a Bari, quando il potere politico non affidava i propri campioni ai clan mafiosi, vantandosene poi in piazza.

Oggi il sistema politico del capoluogo e della Regione è sconvolto da due inchieste che indagano sulla compravendita di voti, mediata dai clan della malavita organizzata, che si faceva intermediaria e in parte garante del risultato. Sono inchieste che hanno portato a circa duecento rinvii a giudizio e a far scattare le manette, nonché alle dimissioni di un assessore regionale del Pd della giunta del presidente Emiliano e all’arresto di una consigliera comunale che sostiene la maggioranza del sindaco Decaro.

I due politici non sono neppure lambiti dalle inchieste e non sono sospettabili di essere il terminale di alcunché. Così ha anche detto il procuratore capo di Bari, Roberto Rossi, in una inconsueta conferenza stampa durante la quale, con a fianco il sindaco Decaro da una parte e dall’altra il candidato alle furono primarie dem Michele Laforgia, ha dichiarato che «l’amministrazione di Bari ha saputo rispondere alla mafia». Affermazione netta e chiara, in parziale contrasto con quanto scritto dai suoi pm nelle ordinanze d’arresto, dove è specificato che «è stato ravvisato un effettivo asservimento di alcuni settori della vita amministrativa della municipalizzata Amtab alle esigenze dell’organizzazione del clan Parisi» e che segue quella di tre anni fa, quando il procuratore si insediò spiegando che «a Bari c’è un mondo di mezzo che ha le mani sui grandi affari».

 

È tutto vero, compreso che, come dice Rossi, «queste inchieste sono a tutela della vita democratica». E quindi si suppone lo siano anche eventuali interventi del governo per vederci più chiaro, malgrado Emiliano e Decaro abbiano organizzato due settimane fa una manifestazione di piazza dal cui palco un prete antimafia ha dato del «criminale» al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, reo di aver mandato in città una commissione che indagasse sulle realtà criminali emerse dalle inchieste sui voti di scambio.

LA CASISTICA
In attesa delle conclusioni degli inviati ministeriali, si registra una piccola casistica di fatti e coincidenze che possono incuriosire. La più mediatica è la foto che ritrae De Caro con una sorella del boss Tonino Capriati - forse quella alla quale Emilano dice di averlo affidato - e la figlia di questa. Immagine scattata in strada. Il sindaco ha prima sostenuto di non sapere chi fossero le donne, poi di essersi trovato lì per caso. Il contesto però è curioso. La foto infatti è scattata nel giorno dell’inaugurazione di un negozio dei Capriati a Bari Vecchia, proprio davanti allo spazio commerciale, con tanto di manichini a fianco. Ma sicuramente il sindaco, che governa da dieci anni in città, ignorava sia l’evento sia di chi fosse il negozio.

Altra notizia curiosa sfuggita ai grandi media è l’archiviazione di un’inchiesta partita dal racconto del pentito Nicola De Santis. L’uomo ha gettato fango sul sindaco, raccontando di un incontro tra Decaro, il padre Giovanni, Massimo Parisi, nipote del super boss Savino e Tullio De Michele, un sodale. Un episodio risalente a una quindicina d’anni fa, quando Decaro era assessore ai Trasporti cittadini. Secondo De Santis in quell’occasione sarebbe stata promessa l’assunzione al giovane Parisi presso l’Amtab, la municipalizzata dei trasporti, presumibilmente in cambio di qualche appoggio. Non si è indagato oltre, ma è un fatto che sette mesi dopo il ragazzo è stato assunto, senza concorso.

Carte giudiziarie di cui Libero è venuto in possesso riportano poi di come, una volta sindaco, Decaro abbia nominato, già nel 2015, Maria Carmen Lorusso, la sua consigliera comunale arrestata poche settimane fa, e che il politico ha scaricato pubblicamente dichiarando che proveniva dal centrodestra, presidente del Nucleo di Valutazione Strategico della Città Metropolitana di Bari, di cui pure Decaro è sindaco. Un incarico importantissimo perché il nucleo controlla e valuta i dirigenti pubblici, stabilendo chi premiare e chi no; e soprattutto, a fronte di quali comportamenti. Per esempio, ma sono illazioni, qualcuno poteva essere premiato per aver dato o non dato un appalto pubblico a qualcun altro. Ai tempi la donna aveva solo 28 anni. Una nomina che ai tempi perfino Sinistra e Libertà (Sel) aveva definito uno scandalo.

Strabiliante è comunque che, dopo la prima inchiesta che ha portato a 130 arresti, Decaro non abbia voluto rispondere in consiglio comunale non solo alle domande dell’opposizione di centrodestra, ma neppure a quelle postegli da Francesco Giannuzzi, consigliere eletto nella sua lista personale, che denunciava tutte le nefandezza di Amtab. Nell’occasione l’intera maggioranza ha lasciato l’aula consigliare, probabilmente su ordine del sindaco, abbandonando di fatto il proprio esponente.

Le disavventure dei vertici politici locali non finiscono comunque qui. A volo d’uccello si ricorda la foto che immortala in un abbraccio il governatore Emiliano con il capo della Protezione Civile da lui indicato, Mario Lerario, successivamente arrestato per mazzette nello scandalo dell’ospedale in fiera. L’immagine, che a Bari è anche stato un poster appeso ai muri cittadini e che adesso è cattiva pubblicità per il presidente, è scomparsa.

Altri incidenti di percorso del sistema di potere pugliese sono l’indagine per corruzione a carico di Gianfranco Grandaliano, ex tesoriere di Emiliano, poi direttore dell’Agenzia dei Rifiuti e infine condannato a un annodi carcere. Oppure il rinvio a giudizio per turbativa d’asta e scambio di voti di Filippo Caracciolo, capogruppo del Pd in Regione. O ancora il caso di Claudio Stefanazzi, uno dei numerosi capi di gabinetto di Emiliano, condannato per finanziamento illecito. E, tra gli altri, Francesca Ferri, consigliera comunale candidata con il centrodestra poi guadagnata da Decaro alla maggioranza di centrosinistra, finita in carcere con il marito per voti di scambio in un’indagine del tutto simile a quella esplosa due giorni fa.
Guarda il caso...

Aspetta invece ancora sentenza il procedimento per corruzione aperto a carico di Elio Sannicandro, direttore dell’Assett, agenzia che si occupa dell’emergenza idrogeologica nonché cliente dell’avvocato Michele Laforgia, che l’imputato sostiene alle primarie. Stessa situazione per l’ex forzista Alfredo Borzillo, nominato da Emiliano commissario del Consorzio di Bonifica e attualmente a giudizio per appalti truccati. 

Ci scusiamo con i lettori per l’incompletezza dell’articolo, una fotografia alquanto parziale del legame tra politica, incarichi e malaffare in Puglia.