Buongoverno
Abruzzo, premiata la continuità contro l'overdose di propaganda
Il campo largo dell’armata dei capitani di ventura della sinistra guidata da Luciano D’Amico ha ammainato le bandiere multicolori a Campo Imperatore. L’Abruzzo non è terra di conquista e incorona all’ombra del Gran Sasso il suo nuovo capo, Marco Marsilio II, con l’ordinale, successore di se stesso e unico presidente a essere rieletto nella storia della Regione.
La battaglia per la conquista del fortino di roccia nel cuore dell’Italia è stata in dubbio solo nei sussurri di corridoio di fantascientifici sondaggi che vagheggiavano un testa a testa fino all’ultima scheda e azzardavano persino il sorpasso dell’ex rettore dell’Università di Teramo sul governatore uscente. Tutto è andato sì secondo pronostico, ma quello altrettanto segreto del centrodestra che dava sei-sette punti percentuali di vantaggio, un’enormità che sbriciola la forbice statistica e rimette in linea gli artefici della missione impossibile. Il sogno del campo talmente largo da perderne la definizione è morto ancora prima dell’alba, a tre ore dall’apertura delle urne. L’universo mondo della politica italiana si è speso più che per l’Abruzzo per tirare la volata ai due candidati nello scontro secco e senza le ambiguità furbesche del voto disgiunto.
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ENDORSEMENT
Una tornata elettorale alla quale sono mancati solo gli endorsement della trimurti Biden, Trump e von der Leyen abitualmente tirata per la giacca a esprimere un parere su cose e realtà che non si conoscono, forse per impossibilità di localizzare l’Abruzzo sulla cartina geografica, ma che ha avuto l’attenzione dei media nazionali come mai prima, e persino telecamere e riflettori di una delle proverbiali maratone televisive di Enrico Mentana. Toni alti dallo choc sardo e qualche scivolata di stile nell’ultima fase con colpi sotto la cintola al presidente uscente, ma era (quasi) tutto scritto.
Il resto è stata un’overdose di propaganda, di lucciole per lanterne, di ingigantimenti e ridimensionamenti della portata reale delle elezioni, quasi a dimenticare che si disegnava il prossimo quinquennio di una regione centrale definita di volta il volta il sud del nord e il nord del sud, attratta storicamente da Roma molto più che da Napoli, che cerca una sua identità precisa oltre i luoghi comuni, gli stereotipi, le eccellenze e le magagne. Un Abruzzo che stavolta riscopre se stesso nel segno della continuità, che si dà un credito di fiducia, che nell’asse politico dalla costa alla Capitale travalicando gli Appennini vede quell’autostrada a percorrenza veloce per sviluppare progetti, scrollarsi di dosso il vecchio, agganciarsi definitivamente a una dimensione nazionale e sovranazionale.
LUOGHI COMUNI
Il centrosinistra ha continuato a battere sui temi più triti del facile consenso, soprattutto da parte dei politici di importazione e di passaggio che di questa terra storicamente e fino al 1970 declinata al plurale per definirne le diverse identità hanno continuato a suonare la grancassa delle cose che non vanno invece di indicare le soluzioni per farle andare. Metà degli abruzzesi non sono andati a votare e nessuno se li può intestare. Altro che euforia nel primo rilievo dell’affluenza, che faceva ben sperare, altro che mobilitazione delle truppe cammellate nella tradizione della sinistra. E pensare che pure il maltempo ha tolto l’alibi del richiamo del mare e delle passeggiate in montagna. Al di là delle tare e delle variabili, il risultato è chiaro, netto, univoco. Il caso Sardegna è rimasto lontano, neppure l’onda lunga è arrivata a turbare equilibri più saldi di quanto interpretato nelle segreterie vicine e lontane.
Anche qui sono rimasti in piedi i soli stereotipi, quelli che vogliono abruzzesi e sardi in perenne competizione tra chi è più testardo, e le due terre tradizionalmente affratellate dalla pastorizia. Sui tratturi d’Abruzzo, però, la storia da tempo ha ripreso a trottare con i ritmi della modernità. L’Abruzzo di oggi è quello che in dieci ore ha spaccato il capello in quattro sui contenuti delle urne dando pure la composizione del nuovo Consiglio regionale con tanto di nomi e cognomi. Un abisso rispetto al precedente della Sardegna. Che non è stato neanche in questo un precedente, bensì un episodio. Isolato, verrebbe da dire e non soltanto per motivi geografici.