L'intervista
Abruzzo, Alessia Morani: "Ecco perché il centrodestra ha vinto"
Alessia Morani, deputata del Pd nella passata legislatura, nonché sottosegretaria al ministero dello Sviluppo Economico durante il Conte 2, il candidato del campo largo, Luciano D’Amico, è andato bene, ma non è bastato per vincere. Cosa non ha funzionato?
«L’Abruzzo è certamente una delle regioni in cui la destra è più forte, soprattutto all’Aquila dove, con tutta evidenza, abbiamo perso e male. Tra l’altro quello era il collegio di elezione di Giorgia Meloni alle ultime elezioni politiche. Si è confermato che il consenso politico di FdI è importante soprattutto in Abruzzo. Loro hanno vinto bene, ma noi non abbiamo perso male».
Be’, negli ultimi giorni si parlava di un risultato testa a testa, mentre non è stato così. Marsilio ha vinto con un buon margine.
«Io non sono per facili entusiasmi o facili depressioni. A ogni elezione va data una lettura che va contestualizzata. In Sardegna il disastro di Solinas era stato certificato dallo stesso centrodestra che lo aveva tolto, cambiando il candidato. Qui hanno mantenuto il presidente uscente e questo ha raccolto un consenso più largo attorno alla coalizione che li ha portati a vincere».
Le liste hanno preso persino più voti di Marsilio, al contrario di quanto accaduto nel vostro campo. Come lo legge?
«La coalizione di centrodestra è una alleanza stabile dal ‘94, gli elettori la conoscono, l’hanno provata tante volte. La nostra, invece, ha avuto avanzamenti e fermate di continuo. Ma è l’unica strada da percorrere. Però va costruita a partire dai territori, lavorando a programmi comuni, armonizzando le classi dirigenti. E la stessa cosa va fatta a livello nazionale, dove la litigiosità tra Conte, Calenda e Renzi è insopportabile».
I risultati di lista premiano il Pd, ma anche questa è una magra consolazione. Non crede?
«Resta il fatto che il Partito democratico cresce e diventa il perno della coalizione. Probabilmente è stato premiato per l’atteggiamento costruttivo e responsabile che ha sempre tenuto».
Però il centrosinistra nel complesso perde. Perché?
«Il punto debole, a mio avviso, è che non viene ritenuta coesa la nostra coalizione. Dobbiamo tutti essere convinti che questa è la strada e che va percorsa con determinazione.
Non in alcuni posti sì, in altri no. Va percorsa dappertutto, anche mordendoti ogni tanto la lingua. Ma serve per costruire una alternativa credibile che ancora non c’è. E se non c’è è anche per colpa di una litigiosità esasperata anche dalla vicinanza delle elezioni europee».
Il M5S è andato molto male rispetto a cinque anni fa. Tanto che qualcuno, nel Movimento, oggi dice che allearsi con il Pd non paga.Cosa risponde?
«Stiamo parlando di due ere politiche diverse: cinque anni fa, quando in Abruzzo presero il 20%, il M5S a livello nazionale era al 35%. Oggi il M5S ha la metà dei voti. In più, a differenza di noi, hanno poco radicamento territoriale, anche perché sono un movimento molto giovane. La prova è che non sono andati bene neppure in Sardegna, dove avevano il loro candidato. Invece che guardare fuori, dovrebbero guardare dentro loro stessi».
L’altro elemento che emerge è la debolezza delle vostre liste di centro...
«Il centro non è andato male, considerato che litigano di continuo. Quello che non va è l'atteggiamento dei leader. Se c’è un elettorato moderato, e c’è perché i risultati di Forza Italia lo provano, i leader del Terzo Polo devono decidere cosa fare. Andare frammentati non è conveniente nemmeno per loro. Dovrebbero imparare ad essere più continenti nelle dichiarazioni e a cercare di costruire. Se fanno la scelta di stare nel centrosinistra, come io penso, perché sia Calenda che Renzi non ce li vedo con Salvini o Meloni, devono avere la capacità di costruire una aggregazione che non sia ogni giorno martellata dall’alto».
Nel Pd, dopo il voto in Sardegna, si era detto che era cambiato il vento. Giudizio affrettato?
«Il vento è cambiato in Sardegna in maniera evidente, perché nonostante Soru si presentasse da solo, noi abbiamo vinto. Io non credo che per scalfire il consenso della destra si debbano prendere a riferimento le elezioni regionali. Dobbiamo continuare a fare politica, essere radicali nei valori e riformisti nelle scelte. Questa è la carta vincente».