L'intervento
Un nuovo riformismo per gli italiani: rafforziamo i nostri valori
Forza Italia, grazie alla felice intuizione del suo fondatore, Silvio Berlusconi, nasce dall’incontro di tre grandi filoni del pensiero politico italiano, quello cattolico, quello liberale e quello socialista. Il riformismo non è stato e non è un’ideologia, e nemmeno un’articolata teoria politica e filosofica, ma un’attitudine della mente e del cuore degli uomini a misurare le idee di progresso e di civiltà con la realtà, e pertanto deve sapere continuamente aggiornare le idee, interpretare le nuove istanze, cogliere il ventaglio di opportunità che si apre. Viviamo in un mondo imprevedibile e pericoloso, in continua e veloce trasformazione. L’Ordine spontaneo e progressivo che sognavamo negli anni Novanta, al tempo della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, si è realizzato solo in parte e poi si è inabissato. E, specie dopo le recenti vicende, ancora non sappiamo quale Ordine prenderà il suo posto, e quando. Ciò vuol dire che i grandi valori su cui si fondano le società occidentali, e che sono da sempre alla base di Forza Italia, non contano più? Che la libertà di opinione, d’impresa, di proprietà, la libera istruzione, la sicurezza collettiva e privata, la certezza del diritto non servono più a nulla?
Al contrario: più che mai contano e servono, più che mai devono essere la nostra bussola, più che mai dobbiamo difenderli. Però siamo tenuti a immaginare un nuovo riformismo, realista e moderato, adatto ai tempi, che li difenda in un modo adeguato al mondo imprevedibile e pericoloso di oggi. È urgente che torniamo a convincere i cittadini che la loro “buona vita”, più che mai, si trova nel perimetro di quei valori. E questo richiede da noi pensiero critico e innovazione. Un programma di “buona vita” passa perla ridefinizione di tre nessi strategici: quello tra cittadino e Stato, quello tra centro e periferia, quello tra dimensione nazionale e dimensione sovranazionale. Nel rapporto tra Stato e cittadino, è necessario dare a quest’ultimo e alle realtà vitali del Paese la massima capacità di espressione e decisione. Per questo è necessario proseguire nella costruzione di un’architettura costituzionale di tipo presidenzialista, federalista e maggioritario, o che comunque coniughi governabilità e rappresentanza, forza dell’esecutivo e centralità del Parlamento, impegnandoci al contempo in una costituente europea che rafforzi e unifichi il sistema comunitario, che porti alla costruzione di quell’Europa che non c’è ma che serve e che nel corso degli ultimi decenni è rimasta vittima di una costruzione votata esclusivamente alla coesione economico-monetaria tralasciando, con gli effetti ormai visibili a tutti, quella politico-istituzionale.
Nel rapporto tra centro e periferia, prendiamo atto dell’indebolimento dello Stato centrale, che alla fine non è stato sostituito da un sistema federale, decentrato e a base macroregionale. Bisogna investire sulle comunità locali, al fine di valorizzare e rendere sostenibile la vita in ogni contesto, con investimenti, infrastrutture, servizi e burocrazie più efficienti e centrate sul cittadino e sulle comunità. L’Italia è un Paese di piccole città: la sua eterogeneità è parte essenziale della sua struggente bellezza, amata e invidiata in tutto il mondo, è fondante nel suo sistema produttivo, è garanzia della sua qualità della vita. Un’Italia che si sa ripensare nelle sue articolazioni interne e che sa liberare le sue energie più costruttive è anche in grado di proiettarsi sulla scena europea e internazionale con autorevolezza e credibilità. Questa Italia saprà uscire dalla logica del “vincolo esterno” visto come imposizione e potrà dare un contributo utile a una strategia europea e internazionale attraverso i propri valori, le proprie politiche e le proprie storie di successo: senza bisogno di imporsi, il “modello Italia” potrà rappresentare un faro in un sistema internazionale che vuole essere più sostenibile e rispettoso.