Alzare l'asticella
Navalny, le sparate di Elena Basile: "Era libero di comunicare, a Putin non serviva ucciderlo"
L'ultima di Elena Basile? Alexei Navalny "lasciato libero di comunicare sui social". Informazione, quest'ultima, che poco aggiunge nel quadro di una morte orribile dall'innegabile valore politico ma che per l'ex diplomatica italiana dovrebbe essere la prova, o almeno questa è la sensazione, della "innocenza" di Vladimir Putin.
L'articolo vergato sul Fatto quotidiano dalla ex ambasciatrice italiana in Belgio e Svezia ha scatenato un'ondata di critiche sui social, ma rappresenta alla perfezione la tesi della "macchinazione occidentale" che starebbe a monte del caso-Navalny. Una strumentalizzazione politica per colpire Mosca da un lato e favorire presso l'opinione pubblica italiana il sostegno all'Ucraina. Una posizione che Alessandro Di Battista si è incaricato di esprimere in tv ospite di Giovanni Floris a DiMartedì, martedì sera.
Partendo dal "fallimento" della conferenza sulla sicurezza di Monaco, la Basile parte in quarta sentenziando un altro fallimento, quello "della politica di espansionismo della Nato che ha portato alla guerra con la Russia", stigmatizzando poi "i crimini di guerra e contro l’umanità del governo israeliano". In questo campionario anti-occidentale, la Basile allunga il passo parlando della morte di Navalny, definendola "una soap opera diretta dalle classi dirigenti occidentali, cantata da analisti e giornalisti". Navalny, spiega ancora la Basile, era un "nazionalista russo che nel 2012 lanciava appelli per la superiorità degli slavi e immaginava deportazioni di massa per i non slavi, ripulito, costruito a tavolino e reso presentabile dall’Occidente" per farlo diventare "l’icona della Nato, l’oppositore di Putin quando di fatto non raggiunge il 10% dei consensi. Punito con un carcere duro in Siberia, muore in circostanze non chiarite. Un dissidente massacrato dal potere".
La sua scomparsa, prosegue la diplomatica-commentatrice, "è strumentalizzata per sostenere la guerra contro Mosca, per un invio senza termine di armi e finanziamenti. Chi osa affermare che il regime lo lasciava comunicare sui social, non aveva bisogno di ucciderlo in quanto già seppellito in una prigione, oppure che la sua morte giova alla propaganda occidentale, rischia il linciaggio". E giù ironie pure sulla "bionda e fremente moglie", con telefonatissimo paragone con Julian Assange e Stella Morris, il cavallo di battaglia di questi giorni del Fatto.
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