La storia

Acca Larentia, la sinistra smemorata che riscrive la storia

Marco Patricelli

La storia a sinistra spesso è come la legge: si applica ai nemici e si interpreta per gli amici; la storia, poi, può arrancare a scartamento ridotto o filare sull’alta velocità a seconda della direzione di marcia. Le braccia tese nel saluto romano (che però gli antichi romani ignoravano) ad Acca Larentia, nella cerimonia non istituzionale, non possono essere declassificate a folklore nostalgico, ma ancor meno si possono declassificare i fatti alla base della commemorazione partita con le migliori intenzioni in un’ottica bipartisan, semplicemente sorvolando sui fatti in origine e limitandosi all’interpretazione di manifestazioni posteriori.

Quello del 7 gennaio 1978 fu un lucido e criminale assassinio politico, un agguato a colpi di armi automatiche condotto con modalità di guerra che strappò le vite di Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, seguita da quella di Stefano Recchioni, militanti del Fronte della gioventù. La matrice era chiara e manifesta, ma nei torbidi degli Anni di piombo la strage è rimasta senza una verità processuale e quindi senza colpevoli.

I SILENZI DI ELLY
Elly Schlein con la verve inflessibile da Dolores Ibarruri e dal repertorio di frasi fatte, ha evocato scenari da 1924, ha battuto sull’inaccettabilità di quanto si è visto e sentito e ripreso e diffuso sul web, ha preannunciato un’interrogazione al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e ha rilanciato tout court lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste, senza però indicare quali nel caso specifico. Ma neppure una parola sul delitto politico del 1978, neanche mezza sulla giustizia che non ha fatto giustizia, neanche un quarto di sdegno per il crimine vero.

 



La furente segretaria piddina, in buona compagnia cantante e militante a senso unico, non disse nulla neppure il 4 marzo 2023 a Firenze, quando i collettivi studenteschi allegramente sfilarono intonando slogan innocui quali «uccidere un fascista non è reato». Invece è reato eccome, lo è per il codice penale in tutto il mondo civile ed è un cardine persino dei Dieci comandamenti, dove non si fa alcuna qualificazione dell’omicidio per renderlo accettabile o meno grave o addirittura scriminarlo. Vizietto antico, per l’universo comunista e post-comunista, quello di distinguere per convenienza ideologica la lana caprina, di battere monomaniacalmente sul fantasma del fascismo, di giustificare i compagni che sbagliano e di dare una mano all’occorrenza per porsi al di sopra della legge, oltre che della morale.

SOCCORSO ROSSO
Si pensi ai comodi corridoi del soccorso rosso che dal 1948 andavano in direzione di Praga dove fior di delinquenti rossi dell’epoca della guerra civile andavano a svernare in attesa di tempi migliori sottraendosi a processi e condanne. Un nome per tutti, Mario Toffanini, detto “Giacca”, il gappista autore della strage di 17 partigiani “bianchi” a Porzûs, che non scontò un solo giorno di carcere, si godette la vita e venne pure graziato dal presidente Sandro Pertini, con l’Inps che gli versò in Jugoslavia una pingue pensione da combattente fino al 1999. I canali di esfiltrazione verso i Paesi del blocco sovietico continuarono a essere operativi fino ancora agli Anni ’80.

L’Italia, non solo a sinistra, è un Paese che qualche problema con la storia ce l’ha eccome. Report ha risollevato la copertina del dossier su sequestro e uccisione di Aldo Moro, riportando la rivelazione dell’ex ministro Claudio Signorile secondo cui l’allora ministro Francesco Cossiga seppe dell’omicidio con tre ore di anticipo rispetto alla telefonata della Brigate Rosse. Per Gero Grassi «tutte le verità dette sono agli atti della Commissione Moro 2 e scritte nel mio libro Aldo Moro: la verità negata. Il memoriale Morucci-Faranda è stato smontato parola per parola dalla Commissione Moro 2. Gli accordi di Yalta sono la base della vicenda Moro con un accordo tacito Usa-Urss». Intrigante la rilettura di un articolo di Mino Pecorelli scritto su OP il 2 maggio 1978, una settimana prima dell’omicidio di Aldo Moro, dal titolo: «Yalta in via Mario Fani». Il primo esponente comunista a recarsi negli Stati Uniti, e proprio nel periodo del sequestro, è Giorgio Napolitano, dal 4 al 19 aprile, con Giulio Andreotti come garante. Pecorelli sottolinea che la via della democrazia compiuta di Moro con l’apertura a sinistra era sicuramente sgradita agli Usa ma ancor di più all’Urss perché minava il suo ruolo guida che non prevedeva la presa del potere su base democratica: «Ancora una volta la logica di Yalta è passata sulla testa delle potenze minori».