Sentenza della Cassazione
Askatasuna, il centro sociale di Torino prepara la lotta armata
Sarà che è morto da pochi giorni Toni Negri, ma l’espressione «lotta armata» deve fare ancora impressione nel nostro Paese. Non è una sfida social a chi la spara più grossa, perché stavolta c’è un provvedimento preciso della Cassazione. Esso riguarda – manco a dirlo – uno dei centri sociali più pericolosi, l’Askatasuna di Torino, che da troppi anni fomenta odio e violenza. La magistratura è arrivata a dover respingere alcuni ricorsi, perché nelle attività di Askatasuna si caratterizzano alcuni dei militanti che ne fanno parte come promotori di un disegno criminoso al termine del quale c’è proprio la lotta armata. E non si scherza più.
Prioritariamente si scatenano contro la Tav tra Italia e Francia e le forze dell’ordine che presidiano i cantieri. Ma più in generale questi attivisti sono protagonisti di troppi atti che generano paura ovunque li si incrocia. Ovviamente, i loro avvocati piangono contro la Cassazione, ma ci sono montagne di atti e di fatti che li descrivono in maniera pesantissima. Tra gli attivisti del centro sociale ce ne sono alcuni che coltivano propositi di «lotta armata» con la «preordinata provocazione di contrasti con le forze dell'ordine»: lo scrive proprio la Cassazione nelle motivazioni di una sentenza, depositate nei giorni scorsi, relativa a un processo in corso a Torino: la Suprema Corte ha respinto il ricorso di due imputati contro la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Askatasuna è uno dei maggiori e più noti centri sociali e si colloca nell’area dell’autonomia. La tesi, che poggia su accertamenti della Digos, è che un gruppo ristretto di attivisti stia portando avanti un «piano criminoso» che fra l’altro contempla folate offensive contro i cantieri del Tav con bombe carta. La Cassazione ha preso atto che il tribunale del riesame di Torino ha individuato all’interno di Askatasuna «una stabile struttura organizzativa» composta da 16 persone che ritiene il centro sociale «un mezzo» per realizzare i propri fini. «Secondo quanto emerso dalle intercettazioni e dalla disamina degli atti letti in chiave cronologica», è il riassunto degli Ermellini, «detta finalità si identifica nella lotta armata mediante la preordinata provocazione di contrasti con le forze dell'ordine».
Si ribella ovviamente (e naturalmente) la difesa, che contesta «la suggestione» riferita alla lotta armata. Al fondo della protesta dei legali, il rischio che corrono gli imputati: sono tutti a piede libero e la mannaia di un’accusa così pesante potrebbe cambiare le carte in tavola. Dalla lotta armata alla contestazione di terrorismo il passo è breve. Va detto che anni fa un allora esponente del Pd, Stefano Esposito, fu tra i protagonisti di una rottura totale con Askatasuna. Si beccò fior di minacce in cambio e una buona dose di denigrazione.
Lo ha voluto ricordare il parlamentare di Italia Viva Enrico Borghi: «Ora è stato messo nero su bianco: Esposito aveva ragione e tutti quelli che hanno in qualche modo difeso gli attivisti di Askatasuna torto. E tutta una stagione della politica piemontese, con riflessi anche nazionali, andrebbe riletta perché gli attivisti non erano giovani e romantici rivoluzionari che intendevano riscattare il proletariato». Ci sarà ora chi avrà l’umiltà di scusarsi con Esposito? E soprattutto, ci sarà da sinistra qualcuno pronto a schierarsi con la Cassazione e non più con quel centro sociale che assalta puntualmente le forze di polizia? Servono esempi di coraggio. Ma è difficile aspettarsene da chi non ha speso neanche una parola sulla parabola terroristica di Toni Negri.