L'idolo della sinistra
Vizzardelli gela la Schlein: "Non voto Pd"
«Pss, ma è stato il Vizzardelli?». Le signore impellicciate si danno di gomito. È appena finito l’inno di Mameli, e il Vizzardelli, loggionista della Scala, ha gridato «Viva l’Italia antifascista». Non sa ancora nessuno che è stato lui, tranne gli amici accanto. E lui ancora non sa, ma forse in fondo ci spera, che da qui a poco diventerà il nuovo idolo della sinistra. Il Vizzardelli frequenta la Scala da quando è ragazzo, la prima volta a dieci anni, la Quinta di Beethoven diretta da Herbert von Karajan. Al massimo - raccontano ma chissà se è vero - con suo successivo imbarazzo e pentimento ha avuto un sussulto quando Amneris, la figlia del faraone, con uno stratagemma spinge la schiava Aida a dichiarare il suo amore per Radamès. Ma così no, con quel «Viva l’Italia antifascista» ha perso la consueta compostezza, che ha almeno a teatro.
Oddio, e se mi scoprono? Cala il silenzio. Poi un leggero brusio. Vizzardelli ha la testa fissa e gli occhi che rimbalzano da sinistra a destra come alle partite di tennis. Ecco mi beccano, ecco che mi beccano... ma anche chi sa tace. «No, non può essere stato il Vizzardelli», sentenziano i visoni. «Sarà un cafone che si è imbucato...». Fiu... Il Vizzardelli l’ha sfangata. Inizia il Don Carlo e le attenzioni sono tutte per l’infante di Spagna. Il Vizzardelli affonda nel velluto. Poi però qualcosa cambia.
«Alla fine del primo atto ho visto una persona che si avvicinava nel buio», racconta l’indomani il Vizzardelli, «una persona gentile, mi ha tranquillizzato, mi ha detto che non era niente di grave». E invece... «Quando si sono accese le luci mi ha mostrato il distintivo e chiesto i documenti. “Perché, cos’ho fatto di male?”. Me ne sono andato... Poco dopo sono arrivati altri quattro poliziotti e si sono qualificati come agenti della Digos». Viene identificato e anche i visoni più garantisti si arrendono: è stato il Vizzardelli.
IL CURRICULUM
D’accordo la passione per l’opera, ma chi è, cosa fa Marco Vizzardelli nella vita? Ha 65 anni, la passione per l’ippica ed è un giornalista pubblicista. Non scrive su Cavalli e Segugi come fingeva Hugh Grant in Notting Hill. Vizzardelli lavora per Trotto&Turf ed è un esperto di ostacolismo italiano. Scrive di equini dagli anni ’80: prima era alla storica testata Trotto Sportsman, poi il passaggio a Cavalli&Corse.
Il Vizzardelli è figlio di ottima famiglia milanese. Chi lo conosce bene lo definisce un tipo solitario. La fisionomia ricorda Maurizio Ferrini, la Signora Coriandoli. «Lei è comunista?», gli domanda Il Giorno. «Comunista proprio no. Mi definirei di centrosinistra, magari, ma soprattutto non razzista e non fascista: il nero come la pece è una cosa che mi urta profondamente e che non riesco a tollerare. Ho detto una cosa scritta nella Costituzione: perché tutto questo can-can?».
Ma da dov’è nato quest’impeto? «Prima del Don Carlo mi aveva molto infastidito che fosse stata messa in mezzo la senatrice a vita Liliana Segre, tirata a destra e a sinistra quasi come uno scudo umano. Ho continuato a pensarci ancora, anche mentre ero in coda con i miei amici per salire al loggione...». Alla vigilia della Prima c’era stata una polemica su chi dovesse sedere vicino a chi. Dato che c’era La Russa, Cgil e Anpi avevano dato forfait. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala aveva dichiarato che sarebbe stato in platea con la Segre, ma poi lei ha scelto il palco d’onore e Sala si è accodato. Sullo stesso palco c’era il vicepremier Matteo Salvini. Il giorno dopo Vizzardelli si sveglia e scopre di esserlo diventato per davvero il nuovo totem della sinistra. La Schlein lo porta in palmo di mano e su Twitter che ora si chiama “X” rilancia compulsivamente l’hashtag #vivaliataliaantifascista. Si unisce Sala il quale con una storia su Instagram ironizza: «Al loggionista che ha gridato “Viva l’Italia antifascista” e che è stato identificato che gli si fa? Chiedo per un amico». Vizzardelli parla con l’Ansa: «Non voto Pd e non so manco per chi votare, al massimo sono un liberale di sinistra». Alcune certezze però non si toccano: «Non reggo due cose: qualsiasi vago profumo di fascismo e qualsiasi forma di razzismo, e avevo davanti due rappresentanti dello Stato come Salvini e La Russa che su entrambi questi fronti mi lasciano molto perplesso».
SFRONTATO
Adesso fa un po’ il guascone e riferisce il dialogo coi poliziotti: «Se avessi detto “Viva l’Italia fascista” avreste dovuto prendermi e mandarmi fuori, ma così no... a quel punto anche loro si sono messi a ridere. La situazione era tranquilla: pensi che ho fotografato da solo il mio documento elettronico e ho inviato lo scatto via WhatsApp a uno di loro. Non ho mai visto tanta Digos come quest’anno». Il Pd si dà all’ippica. Vizzardelli rilancia: «Non mi pento di quella frase!». Concetto ribadito anche dalla Gruber, in serata, su La7. Forse sognava i 90 minuti d’applausi, come Fantozzi quando contestò La corrazzata Potëmkin imposta ai dipendenti dal mega-direttore Guidobaldo Maria Riccardelli. Vizzardelli si è dovuto accontentare degli elogi di Schlein e compagni.