Cortocircuito

Cecchettin, gli uomini di sinistra che vogliono insegnare a Meloni come difendere le donne

Brunella Bolloli

Maurizio Maggiani, scrittore e saggista vincitore di vari premi e non tacciabile di avere simpatie per la destra, ha scritto ieri su La Stampa un bel racconto sull’irrimediabile perdita di potere degli uomini. Qualcosa che, ovviamente, ai maschi non va giù perché determina la fine del patriarcato e il suo auto-dissolversi che, spesso, può sfociare perfino in atti di violenza. In sintesi, più che fare attenzione al maschio che abusa del proprio potere, a preoccupare è il maschio che perde potere. Figurarsi se poi a diventare più potente è una donna, com’è noto nella cultura patriarcale considerata inferiore. 

Ciò che accade in questi giorni di dibattito attorno al cadavere ancora caldo della giovane Giulia Cecchettin è il volere cercare delle responsabilità e delle colpe della politica di oggi dando a Giorgia Meloni e al suo governo delle patenti di “patriarcato” che invece non le appartengono. E l’aspetto che qui osserviamo è che a dare lezioni alla premier non sono le donne (a parte casi rarissimi) ma soprattutto gli uomini. ADi martedì l’ex segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, era incontenibile. Non gli sembrava vero di attaccare la foto dell’album di famiglia, tutta al femminile, che Giorgia Meloni ha postato l’altra mattina in risposta alle sollecitazioni di Lilli Gruber. La difesa di Bersani nei confronti della conduttrice di Otto e mezzo è stata totale, ma abbastanza scomposta: «Son cose da matti...», ha esordito il politico di Bettola. «Io dico al presidente del Consiglio: «Ho il sospetto che tu abbia una visione patriarcale e lei mi risponde dicendo: no, io sono una donna, mia mamma è una donna, mia nonna è una donna, mia zia è una donna e faccio la foto...». 

 



Bersani ha concluso: «È come se a me dicessero che sono comunista e io rispondessi che ho uno zio prete». Grandi risate in studio. Meno divertente, invece, e forse anche più scontato, il post con cui Paolo Berizzi, firma di Repubblica specializzata in servizi nella caccia al neofascista, vuole insegnare a Giorgia Meloni cosa deve dire per dimostrare di non essere figlia di una cultura patriarcale. «Durante il fascismo le donne venivano escluse, annichilite e umiliate. Il fascismo aveva paura delle donne lavoratrici», ha scritto il giornalista su X. «Non basta pubblicare una foto di famiglia al femminile per far dimenticare la storia e la cultura da cui discendi e di cui sei erede ideologica». Una ossessione, quella di Berizzi, per il fascismo. Che, per carità, è esistito e nessuno lo nega, ma è finito da così tanto tempo che tirarlo in ballo oggiè un po’ come lo zio prete di Bersani: non c’entra nulla. È fuori dai radar.


Chissà perché sono sempre gli uomini a volere insegnare alla Meloni come deve fare per difendere le donne. E potremmo anche aggiungere: uomini di sinistra, gli ultimi a dovere parlare quando si tratta di valorizzazione della presenza femminile. Ci siamo dimenticati la questione femminile nel Partito democratico? Bersani non l’ha citata nel suo vigoroso intervento, ma del resto non era lui il segretario dem allora alle prese con le “erinni” del partito che chiedevano più spazio e considerazione perché i “capi-bastone” si erano scelti loro i ministri del governo giallorosso e avevano, ancora una volta, escluso le donne dai posti di comando. L’allora segretario del Pd era Nicola Zingaretti e alla fine lasciò il Nazareno anche per questo: le proteste da parte della componente femminile dei dem, le assemblee, i musi lunghi, il problema delle quote. Zingaretti il 25 febbraio del 2021 dovette ammettere pubblicamente: «Sulle donne abbiamo sbagliato».

Tante parole, tanti buoni propositi, tante battaglie per la parità di genere e poi alla fine neanche una ministra: con la, proprio come piace ai progressisti, più attenti alle desinenze, alla forma, che alla sostanza. E dunque, ecco perché non sono credibili quei maschi che ora si ergono a giudici e provano a processare Giorgia Meloni, leader del primo partito e primo presidente del Consiglio donna. Quei professorini che vanno in tv a puntare il dito contro la foto messa dal (dalla, è lo stesso) premier. I vari Giannini, ma anche Santoro, Di Battista e, guarda caso, sempre gli stessi. Se i democratici oggi hanno una segretaria donna, Elly Schlein, è soltanto perché i famosi “capi-bastone”, si sono dovuti “inventare” una leader che controbilanciasse il centrodestra. La differenza, però, è che Schlein l’hanno scelta loro e sottoposta poi alle primarie. Su Meloni non c’è stato neanche bisogno di discussioni.