Il retroscena

Elly Schlein, nel Pd è caos: le indiscrezioni sugli attacchi a Meloni

Antonio Rapisarda

Inchiodata nei sondaggi sotto il 20%. Terrorizzata dallo scenario di un confronto “senza filtri” con Giorgia Meloni. Sfiancata ai lati da Giuseppe Conte e Maurizio Landini. Sempre più nel mirino del grosso delle correnti Pd, pronte a fagocitare l’ennesimo segretario già al tornante delle Europee. Con un quadro così è comprensibile, in un certo senso, che Elly Schlein veda tutto “nero” davanti a sé. E come tale – da tradizione, ormai, quando i leader a sinistra non trovano altra via d’uscita – abbia scelto di rifugiarsi nel più prevedibile, inflazionato e incapacitante (lo sa bene il suo predecessore Enrico Letta) dei rimedi: lanciare l’allarme fascismo.

È successo ancora una volta ieri, ai microfoni di Radio24 dove, non prima di regalare un’incredibile gaffe sul «mood», seconda solo all’armocromista, ha tuonato così contro il premierato: «Giorgia Meloni? Vuole comandare, non vuole governare. Perciò vuole indebolire il Presidente della Repubblica: perché vuole l’uomo solo al comando. Ma è un’esperienza che in Italia abbiamo già fatto e non è andata bene...».

 

 

RESA PREVENTIVA

Ecco l’argomento principale, il fantomatico ritorno camuffato del Ventennio, con il quale la segretaria del Pd spera di avvelenare il dibattito parlamentare e sociale sulla riforma istituzionale. «Una riforma pericolosa», secondo Schlein che in un sol colpo seppellisce tutta la tradizione riformista e semi-presidenzialista Ds-Pd (evidentemente anch’essi tutti nostalgici dell’uomo forte), dato che a suo avviso scardina «l’equilibrio fra i poteri dello Stato, indebolisce il Parlamento e i poteri del presidente della Repubblica». Una riforma – e qui torna in loop, nonostante decine di costituzionalisti sostengano il contrario e dal Colle non si sia udito nemmeno un sospiro in tal senso – «che porta a un capo assoluto che decide».

Con argomenti del genere si comprende il disagio ad accettare la sfida di Atreju. Ossia un dibattito franco e senza paracadute, durante il quale sarebbe chiamata di certo a rispondere alla più diretta delle domande: «Voi del Pd volete o no far decidere chi governa ai cittadini?». Elly, parole sue, è d’umore “nero” anche per questo. Altro che questione di coraggio, come la stuzzicano Daniele Bellasio e Lucia Annunziata dai microfoni. Non partecipare alla kermesse meloniana (come a sinistra, al contrario di lei, hanno fatto tutti) sarebbe una fuga “resistenziale”, dato che dal governo «stanno umiliando i lavoratori e le lavoratrici contestando pure il diritto allo sciopero e stanno sfasciando la Costituzione». In difesa di tutto questo Schlein è pronta o no, allora, a immolarsi davanti ai tipi di Atreju? Tenetevi forte: «Non sono del mood per una festa di partito».

 

Una sostanziale – quanto grottesca – resa preventiva. Meglio risolvere tutto dentro i protocolli circoscritti dell’Aula: «Li aspettiamo in Parlamento, ad esempio sul salario minimo. Siamo sempre aperti al confronto, ma stanno esautorando il Parlamento. Sono io che aspetto che Meloni abbia il coraggio di portare in Aula l'accordo con l'Albania, li stiamo aspettiamo ancora sul Mes». Schlein non vede nero solo per riflesso (pavloviano) antifascista o per scansarsi da uno “scomodo” dibattito pubblico. Ad annebbiarle la vista ci si mettono pure i suoi: nessuno fra i big – quasi tutti suoi avversari interni, a partire da Stefano Bonaccini – è pronto a tirare la volata alla segreteria alle Europee. Fra costoro nessuno sbraccia per rafforzare le liste.

 

INDECISIONE

Ecco perché il tema della presenza della leader come capolista in tutte e cinque i collegi è vissuto, da lei stessa e dalla sua cerchia, più come un problema che un’occasione. «Questo ancora non lo abbiamo definito, ragioneremo insieme al partito», ha spiegato non a caso riguardo alla sua eventuale candidatura prima di rifugiarsi nella formuletta del «candiremo i profili migliori che abbiamo a disposizione nel partito e nella società». Tradotto: Elly, anche qui, non sembra del mood adatto. Il motivo è chiarissimo. Al di là del timore per il confronto “diretto” con un’eventuale candidatura di Giorgia Meloni, la discesa in campo della segretaria non farebbe altro che alzare le aspettative rispetto al risultato generale del Pd. Là dove sarebbero pronti in tanti, persino fra chi l’ha sostenuta, ad aprire un processo politico – ossia la sua testa – nel caso non dovesse manifestarsi il sospirato (finora mai visto) effetto Schlein.