Amnesie

Tolkien, la sinistra si indigna? Ecco cos'hanno taciuto su Che Guevara

Luca Beatrice

Troppo faticosa l’arte della recensione. Ci vogliono strumenti e competenze che non tutti hanno, molto meglio allora cercare la polemica e sviare il lettore verso altrove. In Italia, nelle ultime settimane, in tanti si sono scoperti tolkieniani pur non conoscendone a fondo la poetica tanto da criticarne la mostra, ma cavalcando la scontata questione del suo essere simbolo e punto di riferimento culturale della destra. Il giorno dopo l’inaugurazione alla Galleria Nazionale di Roma diversi giornali hanno riportato titoloni del tipo «Giorgia Meloni e i suoi cari, tutti da Tolkien sabato sera (in realtà era mercoledì) a fare l’egemonia culturale» (Massimo Giannini nel podcast di Repubblica), oppure «La destra in visita alla mostra sull’autore de Lo Hobbit» (Antonio Bravetti su La Stampa). Di ciò che si vede, dei pregi, degli eventuali limiti dell’esposizione, neppure una parola, ma per scrivere certi pezzi non c’è neppure bisogno di vederla, una mostra. Secondo accreditati commentatori, dunque, il tema sta nella sarabanda ideologica. Anche fosse, e non è, non sarebbe neppure un milionesimo rispetto a ciò a cui abbiamo dovuto assistere in questi anni: musei, fondazioni, biennali stracolme di dichiarazioni ideologiche unilaterali con il beneplacito di ministri della cultura, presidenti, sindaci su fino alle alte sfere dei palazzi. Qualche esempio? Alla Biennale di Venezia del 2015 il direttore Okwui Enwezor prese un teatro per la lettura integrale de Il Capitale di Marx.

COL PUGNO CHIUSO
Qualcuno forse obiettò che in quel testo fossero contenute le premesse per il totalitarismo comunista? Assolutamente no, il barbuto filosofo tedesco non ne ha colpa in ogni caso. Nel 2017 il MAXXI, allora presieduto da Giovanna Melandri ospitò la personale di Piero Gilardi, poliedrico artista torinese a lungo impegnato con l’estrema sinistra. Un’intera sezione era dedicata alle manifestazioni di piazza con striscioni e tatzebao inneggianti alla rivolta, pupazzoni satirici contro leader politici italiani, in particolare Silvio Berlusconi, e stranieri. Che il museo si fosse trasformato in una piazza da comizio fu una scelta di quella gestione e nessuno ebbe da ridire. A cadenza regolare si allestiscono mostre su Che Guevara, mito dei giovani negli anni ’60, poeta e guerrigliero e al contempo incarnazione di un’ideologia alquanto discutibile. Nessun problema, si può fare, si può andare all’inaugurazione con il pugno chiuso, non ci sono controindicazioni. Alla Triennale di Milano nel 2017 fu commissionata dalla Fondazione Trussardi La terra inquieta a cura di Massimiliano Gioni, tema le migrazioni nel Mediterraneo esaminate da un unico punto di vista, la “pornografia del dolore”, molto critica nei confronti della politica, con un unico colpevole designato, l’uomo bianco occidentale. Provai parecchio fastidio per questa visione figlia del conformismo radicato nel mondo dell’arte, basato su affermazioni imperative, mai un contraddittorio, mai pluralità o almeno dualità di punti di vista.

 

 

OFFERTA UNICA
La prossima Biennale d’arte, la prima presieduta da Pietrangelo Buttafuoco, intellettuale tanto di destra quanto disorganico, sarà una sfida difficile, fin dal titolo voluto dal direttore Adriano Pedrosa, Stranieri ovunque e dedicata al Sud del mondo il cui concept recita testualmente «si parlerà di artisti stranieri, immigrati, espatriati, diasporici, émigrés, esiliati e rifugiati». La sinistra fa la ola, noi no, ci attende il solito trituramento quando invece avremmo voluto, tra le priorità, il pieno ripristino del Padiglione Italia e la centralità del nostro Paese, peraltro ospitante. Esempi così ce ne sarebbero tanti altri. Tralasciando il preconcetto, superando l’incancrenita egemonia culturale della sinistra che domina dal dopoguerra, abbiamo visitato e criticato le mostre che non ci sono piaciute soprattutto perché sono state, e continuano a essere, l’offerta unica sul mercato. Chi si prendesse la briga di visitare JRR Tolkien alla Galleria Nazionale di Roma, soffermarsi sui documenti, analizzare le fonti, leggere le storie, capirà che siamo davanti a un grande poeta del ‘900, un intellettuale complesso e stimolante. Solo che ci vuole tempo, cultura, pazienza e tanti giornalisti non ne hanno.