Sono seri?

Atreju, "attrazione fatale": la sparata di Repubblica dopo il "no" di Schlein

Tra poco da sinistra su Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia pioverà anche questa accusa: Atreju uccide. Politicamente, s'intende. Ma è sintomatico che su Repubblica, nel giorno in cui la segretaria del Pd Elly Schlein ha rifiutato l'offerta di ospitata alla kermesse di FdI, anziché invitarla a ripensarci, per sferrare un attacco deciso alla premier in casa sua, appaia un pezzo antologico in cui si ricordano le tristissime fini di tutti i leader progressisti transitati sul palco di quella che, sprezzantemente, viene definita "la sagra del sovranismo". E, soprattutto, si parla di "attrazione fatale". Come se la kermesse potesse avere conseguenze potenzialmente mortali.

Ad Atreju, si ricorda, "c'è sempre stato posto per tutti: Platinette ed Enrico Letta, la gara di poker con Pupo e il presepe vivente dagli Abruzzi, il cooking show del divo chef e il cane lupo cecoslovacco, accreditata mascotte della kermesse reperibile nell'albo d'oro digitale dei Fratelli d'Italia con il mitologico nome di Thor, divinità germanica fornita di terrificante martellone".

 

 

Una kermesse che Meloni ha fatto sua, si sottolinea, "sagomandola a sua immagine e somiglianza fino a trasformarla in palestra, piattaforma, passerella, laboratorio tricolore, salotto televisivo e infine sagra piaciona del sovranismo", appunto. A sinistra l'hanno sempre vissuta maluccio. Roberto Saviano, per dire, ha anche tentato di identificare il giovanissimo protagonista della Storia infinita che dà il nome all'evento della destra come simbolo della famiglia aperta e queer, sicuramente fuori da quella "tradizionale". 

 

 

La verità è che oggi Atreju ha di fatto sostituito La Festa dell'Unità nella liturgia politica, una novella "Leopolda" che sostituisce la generazione Meloni a quella Renzi. E proprio Matteo, spiega Repubblica, è una delle "vittime" della festa meloniana: "Per 4 anni di seguito ha rifiutato l'invito per poi cedere nel 2021. Bertinotti e Letta hanno fatto meno storie, Conte è venuto due volte, una con il figlio Nicolò. Marco Minniti ha acceso la platea raccontando della scrivania del Duce e solleticandola con il motto scioglilingua di Italo Balbo: «Chi vola vale e chi vale ma non vola è un vile». Da sindaco ecumenico, e quindi con rassegnazione, Walter Veltroni si è sottoposto al rito goliardico della domanda trabocchetto rispondendo sulle cattive condizioni della borgata Pinarelli, che non esiste".

E poi Silvio Berlusconi, Giovanni Toti, Steve Bannon, Viktor Orban. Tutti, in ogni caso, destinati almeno in apparenza a venire ricordati più di questa Schlein versione Nanni Moretti, "Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?". A Repubblica se ne facciano una ragione.