Mister president
Joe Biden ne azzecca una: torna comandante in campo contro i nazi-islamici
La storia, specie quando si fa largo in diretta attraverso la cronaca, è sovrana su se stessa. Non soggiace ad appartenenze, idiosincrasie, figuriamoci gusti personali. Joseph Robinette Biden, detto Joe, 81 anni tra un mese, è lontanissimo dall’essere il miglior presidente possibile degli Stati Uniti d’America, certamente non suscita entusiasmi da queste parti, non è la nostra tazza di tè. Eppure, con la sua visita tutto meno che rituale in Israele, non ha mancato l’appuntamento col convoglio della Storia che rischia ancora una volta di deragliare in Medio Oriente, salvando la coscienza occidentale intorpidita e addirittura confusa dalla propaganda degli sgozzatori coranici.
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Anzitutto, la scelta di campo radicale, figlia allo stesso tempo dei valori e dell’empatia. «Voglio dire una cosa al popolo israeliano: avete un coraggio straordinario e sono orgoglioso di essere qui», detto in apertura di conferenza stampa a fianco dell’“amico” Bibi. E al termine, con voluta ridondanza: «Stiamo dalla parte di Israele per la difesa dei suoi cittadini». Non è (solo) la conferma della relazione speciale con lo storico alleato, costante di tutte le amministrazioni Usa. È molto di più: lo schieramento dichiarato della potenza americana nella “guerra” in corso. Perché le belve di Hamas hanno commesso «atrocità forse persino peggiori di quelle dell’Isis», e «come il mondo si è unito per sconfiggere il nazismo e si è unito per sconfiggere l’Isis, dobbiamo essere uniti per sconfiggere Hamas». Traccia il solco tra civiltà e barbarie, Joe Biden: la priorità è ultimativa e quindi elementare, combattere il nazi-islamismo. Con questa postura, il presidente americano straccia la narrativa, di moda anche in queste ore in Europa, della contestualizzazione estenuante sempre in bilico sul giustificazionismo («non c’è nessuna scusa per l’attacco di Hamas») e manda un messaggio, assai corroborato dalle due portaerei inviate nel Mediterraneo orientale, agli ayatollah iraniani in fregola di farla finita con quella che chiamano entità sionista: «Se pensate di attaccare Israele, rinunciate a quest’idea, non fatelo».
IL GABINETTO DI GUERRA
La prova definitiva che siamo oltre il tradizionale sostegno a distanza, più ancora che nel «pacchetto di aiuti per la difesa di Israele senza precedenti» che Biden chiederà nei prossimi giorni al Congresso, sta in un atto a temperatura simbolica rovente, irreversibile. Per la prima volta nella storia, un presidente americano ha partecipato alla riunione del Gabinetto di guerra dello Stato d’Israele. È evidente che nell’inferno che si è spalancato dal 7 ottobre Washington sfuma il proprio ruolo di mediatore internazionale (quello che emergeva quando l’interlocutore palestinese era l’Olp) e accentua quello di guardiano dell’avamposto occidentale assaltato dalla jihad. Non a caso Biden è l’unico leader che afferma senza ipocrisie linguistiche (quelle in cui ancora ieri si involveva il cosiddetto Alto Rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell) ciò che è apparso via via sempre più chiaro: la «responsabilità» della strage all’ospedale di Gaza è «dell’altra squadra». «I dati mi sono mostrati dal Pentagono», ed è la massima perentorietà possibile. Insomma, ieri in terra d’Israele il vecchio Joe è stato, certo inaspettatamente, il comandante in capo.
Quel che non è stato spesso, non lo dimentichiamo affatto. Quel che non è stato, soprattutto, il giorno dello sciagurato, disordinato, addirittura inverosimile ritiro dall’Afghanistan. L’errore originario, quello che ha convinto le varie canaglie globali che l’America era in ritirata, che la reaganiana “città sulla collina” spegneva la luce. Se il più devastante pogrom anti-ebraico dai tempi dell’Olocausto (perché questo è stato) ha innescato un soprassalto di coscienza sul ruolo dell’America nel suo vecchio condottiero, è la migliore notizia per tutti gli uomini liberi. Intanto, stiamo alla cronaca: ieri non sembrava lui, il vecchio. Ieri, di fronte alla Storia che rischia ancora una volta di collassare, la cariatide sembrava ancora e sempre l’Europa, strutturalmente incapace di nominare l’amico e il nemico. Il vecchio Joe invece, guardando negli occhi i sopravvissuti alla carneficina islamista, usava accenti quasi fallaciani: «Non è necessario essere ebrei per essere sionisti». Riabbiamo un comandante.