Padroni e sindacati

Elkann licenzia e Landini tace: segretario Cgil smascherato

Michele Zaccardi

Forse è il pudore che lo frega. Più che in quello che dice, il problema sta in quello che non dice. «Da anni chiediamo un piano sull’automotive senza avere risposte» afferma Landini intervistato da Repubblica. Peccato che il segretario della Cgil si dimentichi di citare chi, del settore dell’auto, è l’attore principale in Italia. E cioè Stellantis, il gruppo nato nel 2021 dalla fusione di Fiat Chrysler Automobiles (Fca) e Peugeot, e di cui la Exor della famiglia Agnelli è il socio di maggioranza con il 14,4% delle azioni.
La stessa Exor che è proprietaria pure di Repubblica.

E dunque, che sia per garbo verso il quotidiano di casa Elkann, per censura o altro, poco importa. Perché, il punto, come ha fatto notare su Twitter Carlo Calenda, sta proprio in questa dimenticanza. Forse voluta, ma magari anche un po’ imposta. «Paginata di Landini su Repubblica», scrive il leader di Azione. «Chiede un piano automotive senza mai nominare Stellantis. Sul giornale di proprietà degli azionisti di Stellantis. Repubblica e sindacato hanno fatto grandi battaglie contro i conflitti di interessi. Ma solo quelli altrui».

 

 

 

RIVENDICAZIONI

Certo, dal canto suo, il leader maximo della Cgil - che mette sul tavolo pure il carico dello sciopero generale contro il governo per una manovra «senza coraggio e visione» - rivendica le lotte e le battaglie portate avanti negli ultimi anni. Epperò, a guardare i numeri, la (presunta) intransigenza del primo sindacato italiano di risultati ne ha prodotti ben pochi. Perlomeno sul fronte dell’automotive, tassello fondamentale dell’economia del nostro Paese, visto che dà lavoro, compreso l’indotto, a quasi 270mila persone e rappresenta il 5,2% del Pil. Ma soprattutto quello che è evidente è il progressivo disimpegno di Stellantis dove, nonostante la forte presenza di Exor, la cassaforte degli Agnelli, a comandare sono i francesi. Anche perché, oltre al 7,2% nelle mani della famiglia Peugeot, una quota pari al 6,2% del capitale è detenuta dal governo di Parigi, tramite la banca pubblica Bpifrance. Un presidio, quello dello Stato francese, che consente di orientare in chiave sovranista le strategie del gruppo. Che non a caso licenzia in Italia, mentre conserva gli occupati in Francia.

 

 

 

Domenica sul tema è intervenuto il presidente di Federcontribuenti, Marco Paccagnella, che ha riassunto quanto sta avvenendo con efficace concisione: «Stellantis ha divorato Fiat e i francesi brindano». Dalla sua, Paccagnella, ha i numeri, che snocciola in una nota. «Oggi Stellantis produce in Francia 1 milione di auto e 15 modelli» spiega il presidente di Federcontribuenti, «in Italia 400mila con 7 modelli. Inoltre, il 90% dei componenti per veicoli elettrici e ibridi vengono prodotti in Francia e all’Italia rimane il 10% in un unico stabilimento». Ovviamente, il taglio della produzione si è riflesso in un calo dell’occupazione. «Negli impianti italiani» sottolinea Paccagnella, «ci sono stati 7.500 esuberi mentre in Francia nessuno».

 

 

 

RISCHI

Una situazione che rischia di peggiorare. Gli ultimi dati sulle immatricolazioni in Francia lasciano infatti presumere che, se il calo delle vendite dovesse proseguire, la dieta dimagrante applicata negli ultimi anni all’Italia potrebbe persino farsi più rigida. A fronte di una crescita del mercato dell’auto del 10,7% a settembre sullo stesso mese del 2022, Stellantis, pur rimanendo il primo operatore nel Paese con il 28% delle quote di mercato, ha registrato una diminuzione delle vendite del 2,2%. Ma le accuse mosse dal presidente di Federconsumatori vanno oltre a quanto sta avvenendo. E prendono di mira pure politica e sindacati: «Perché lo Stato ha permesso a Fiat di delocalizzare la produzione dopo aver ricevuto ingenti fondi statali per tutelare i posti di lavoro?». Paccognella ricorda il prestito garantito da Sace concesso a Fca nel 2020, ai tempi del governo Conte: 6,3 miliardi con cui «gli azionisti si sono subito pagati un bel dividendo, in Olanda, ma qui in Italia tutti zitti compresi i sindacati».