Nazioni unite

Onu, se perde in Africa si dimostra inutile

Fausto Carioti

Dopo i decreti di palazzo Chigi e le trattative con Bruxelles e le altre capitali europee per una missione navale europea che fermi i barconi sulle coste africane, è stato il turno dell’appello di New York. L’ultima mossa di Giorgia Meloni contro l’immigrazione incontrollata è chiedere alle Nazioni unite di dichiarare «guerra» alla «mafia» dei trafficanti di uomini. Non si emigra se in patria ci sono stabilità politica, dignità per l’individuo e sviluppo economico, e nel 1945 l’Onu nacque proprio per garantire queste cose. Se quell’organizzazione ha ancora un senso, e non è solo un posto di retorica vuota, è questo che dovrebbe fare. È il succo del discorso che la premier ha fatto ieri davanti alla 78esima assemblea generale delle Nazioni unite. Ci ha concentrato tutta la sua filosofia conservatrice e identitaria e la sua strategia politica. Rivendicando lì, nella sede del multilateralismo, il ruolo insostituibile della nazione e della patria.

L’UOMO E LA NAZIONE
Le nazioni esistono, ha detto, «perché rispondono al bisogno naturale degli uomini di sentirsi parte di una comunità di destino, di appartenere ad un determinato popolo e di poter condividere con altre persone la stessa memoria storica, le stesse leggi, gli stessi usi e costumi. In una parola, la identità». Ha fatto l’esempio dell’Ucraina invasa dalla Russia, che sta dimostrando come «l’amore di Patria, il valore della Nazione, può ancora essere difeso oltre l’inimmaginabile». Lì, ha ricordato la Meloni agli altri leader del mondo, «l’Italia ha scelto chiaramente da che parte stare». Ora spetta alle Nazioni Unite e agli altri Stati, per primi quelli occidentali, decidere da quale parte stare dinanzi a ciò che sta accadendo in Africa. In quel continente c’è chi ha voluto «creare il caos e diffonderlo», e in questo caos, dove decine di milioni di persone cercano condizioni di vita migliori, «si infiltrano reti criminali che lucrano sulla disperazione per collezionare miliardi facili».

 


Può un’organizzazione nata con quegli scopi «fingere di non vedere che oggi al mondo non esiste attività criminale più profittevole del traffico di migranti?». Può l’assemblea dell’Onu «tollerare che la schiavitù torni oggi sotto altre forme, che si continui a mercificare la vita umana, che vi siano donne portate in Europa a prostituirsi per ripagare debiti enormi contratti coni trafficanti, o uomini abbandonati nelle mani della criminalità organizzata?». Risposta ovvia: «Io penso di no, e sono convinta che sia dovere di questa organizzazione rifiutare ogni ipocrisia su questo tema e dichiarare una guerra globale e senza sconti ai trafficanti di esseri umani».

NIENTE CARITÀ
Davanti a quella stessa platea la presidente del consiglio contesta pure la retorica terzomondista, che l’Onu ha alimentato per decenni: l’Africa, dice, non è un continente povero, «detiene la metà delle risorse minerarie del mondo, tra cui abbondanti terre rare, e il 60% delle terre coltivabili, spesso inutilizzate». Dunque «non ha bisogno di carità, ma di essere messa in condizioni di competere ad armi pari, di investimenti strategici che leghino i destini delle nazioni con progetti reciprocamente vantaggiosi». La filosofia del piano Mattei, insomma. Così ci sarebbe «un’alternativa seria al fenomeno della migrazione di massa, fatta di lavoro, formazione, opportunità nelle nazioni di provenienza e percorsi di migrazione legale». La richiesta della premier all’Onu è quindi qualcosa di enorme: «guerra» totale ai trafficanti di esseri umani e investimenti sullo sviluppo dell’Africa. Una pretesa ancora più grande perché lei sabene che il Palazzo di Vetro è stato ribattezzato, già decenni fa, «the tower of Babble», che non è la torre di Babele, ma la torre delle chiacchiere. Però il suo non è idealismo: è il realismo di chi ha capito che non ci sono altre strade. Il caos africano è troppo grande perché un singolo Stato possa affrontarlo, probabilmente sarebbe troppo grande anche per l’Unione europea se fosse unita davvero. Giorgia Meloni è andata lì per dire all’Onu che questa è l’ultima occasione. Se in Africa vincessero il caos e l’entropia, fallirebbe la sua missione storica e confermerebbe di essere nulla di più di quello che dicono i suoi critici: un ipertrofico e costosissimo ente inutile. 

 

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