basterà?

Elly Schlein, la mossa disperata: "A ottobre in piazza"

Elisa Calessi

Dopo l’estate militante, un «autunno di impegno e partecipazione». Ossia, una grande manifestazione nazionale da svolgere nei prossimi mesi e incentrata su tre classici cavalli di battaglia: salario minimo, sanità pubblica, scuola pubblica. Inseguita dai malumori dei riformisti, accompagnata dagli scetticismi anche di chi l’ha sostenuta, Elly Schlein, chiudendo la Festa dell’Unità – quest’anno a Ravenna, in omaggio alle terre alluvionate – prova a rilanciare con un’arma sicura: la piazza. «Il Pd è pronto a scendere in piazza per una grande mobilitazione nazionale, è il nostro tempo, riprendiamoci il nostro futuro», scandisce dal palco di Ravenna.

Un’ora e un quarto di discorso per stringere le fila e rimotivare il popolo dem. «L’ambizione del Pd», comincia, rispondendo a chi l’ha accusata di voler cancellare la storia del Pd, «è non solo unire storie e culture diverse, ma anche immaginare un progetto nuovo, che spalanca le finestre e le porte». Disegnare un «orizzonte nuovo», questo, dice, è il nostro compito, più che sommare storie diverse. «Dobbiamo essere plurali, larghi, aperti, generosi». Lo sguardo, poi, va al mondo: il rallentamento della Cina, la trasformazione tecnologica. Poi si torna al “qui e ora”: «È incredibile che non sia arrivato ancora un euro di ristori alle terre che hanno subito l’alluvione in Emilia Romagna».

 


Criticala scelta del governo di «centralizzare la ricostruzione, quando tutto il territorio chiedeva che il commissario fosse Stefano Bonaccini». Poi la guerra in Ucraina: «Il Pd sostiene convintamente la resistenza del popolo ucraino. Non possiamo accettare l’invasione della Russia». Detto questo, «continuiamo a chiedere alla Ue uno sforzo diplomatico per trovare una pace giusta alle condizioni che dovranno stabilire gli ucraini». Quindi, l’Eurpoa: «Quella che vogliamo è una Europa del lavoro, del salario minimo, che fissa limiti sul lavoro artificiale, che dia continuità al Next Generation Ue». Difende Gentiloni dagli «attacchi scomposti del governo», chiede conto del Pnrr («abbiamo scoperto che le modifiche erano 16 miliardi di tagli»).
Ma lancia anche un avvertimento a Bruxelles: «Non si torni all’errore dell’austerità che tanto ha fatto male all’Italia e all’Europa, il governo faccia questa battaglia a Bruxelles, noi ci saremo».

Cita la Laudato Sii del Papa, attacca i «negazionisti del cambiamento climatico» che sono al governo e «che fanno battute al fresco del loro condizionatore». Attacca la destra: «Si possono travestire quanto vogliono, ma sono sempre gli stessi. Li conosciamo, non accetteremo tentativi di riscrivere la storia, la destra non fa i conti col suo passato, quando sente il richiamo della foresta difende e protegge gli estremisti». Difende il “metodo” utilizzato per arrivare una proposta comune tra le opposizioni sul salario minimo: «Non crediamo alle alleanze fatte a tavolino, ma costruite sui temi. Non ci interessano polemiche miopi, focalizzarci sulle differenze, che ci sono, perché altrimenti saremmo un solo partito. Vogliamo essere più forti dialogando sui temi che ci uniscono, costruire pazientemente battaglie comuni da vincere insieme».

 


Si commuove citando Michela Murgia: «Come diceva una donna e scrittrice, se serve solo a te non è femminismo». Chiede il riconoscimento dei figli delle coppie omogenitoriali, il matrimonio egualitario, il sostegno ai diritti Lgbtq. Annuncia una conferenza sull’organizzazione del Pd. Ai critici: «È normale che si provi paura quando si fanno i primi passi fuori dalla zona di comfort». Cita, rivolta ai riformisti che lo rimpiangono, un discorso di Walter Veltroni del 2007 e, in chiusura, un altro celebre di Aldo Moro (quello sui “tempi nuovi”). Sempre ai riformisti: «Evitiamo di essere un partito che parla di tutto a tutti e finisce per parlare di poco a pochi. Mi fido poco dei partiti in cui non vola una mosca, l'importante è che ci rispettiamo». Servono “ragione e sentimento”, dice. «Vogliamoci più bene, ascoltiamoci di più». Infine: «Qualcuno ci accusa di aver spostato il partito a sinistra. Non so se ho questa colpa e non so nemmeno se sia una colpa. Se volete darmi una responsabilità datemi quella di collocare il partito più in basso, tra le persone che fanno fatica a coltivare una speranza. Solo così torneremo a vincere».