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Comunismo, se la sinistra cancella il suo passato: quel che i compagni ignorano

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Marco Cimmino
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Talvolta, nell’innocente candore dei bambini, risuona una feroce metafora dei discorsi degli adulti, delle cose dei grandi: noi li osserviamo giocare con affettuoso compatimento e, spesso, nemmeno ci rendiamo conto di come loro siano noi. Esattamente noi, intendo. Per esempio, in moltissimi giochi da cortile, tra le innumerevoli regole che organizzano il serissimo mondo del gioco, ce n’è una che, nel delicato patois bergamasco, suona: bù per me, mia bù per te. Il che, a un dipresso, significa che quel che vale per me non è applicabile, a parità di situazione, a te. Certo, è un assunto privo di qualunque logica, se non quella della pervicace affermazione di un proprio privilegio: tuttavia, è esattamente quello che accade tra noi adulti, in certi casi.

Uno di questi è la memoria storica dell’Italia contemporanea, in cui certe parole paiono espunte dal vocabolario, mentre altre sono talmente abusate da assumere quasi il valore di vox media. È una guerra anche quella delle parole, sapete: e chi la vince, in un certo senso, domina la storia e, più ancora, la percezione della storia, che è quel che conta sul versante politico. Perciò, dico che Galli della Loggia, nel suo recente elzeviro su fascismo e comunismo, non ha ragione: ha ragionissima. E gli fa onore, sia umanamente che deontologicamente, l’aver denunciato, dalle pagine del più illustre quotidiano italiano, un’omertà che ci fa vergogna e che, più ancora, contribuisce a mantenere vivo quel senso di guerra civile perenne che tanti danni ha fatto e fa tra la nostra gente.

Perché, se è vero che il fascismo ha avuto colpe terribili, è altrettanto vero che queste colpe sono state analizzate, denunciate, stigmatizzate, perfino ad abundantiam. Viceversa, quando le colpe andrebbero ascritte al comunismo, la voce si fa un sussurro, le parole si smorzano, i giudizi si attenuano, fino ad arrivare al falso storico tout court. Eppure, come sottolinea opportunamente lo storico milanese, proprio la presenza del fascismo ha fatto sì che, in Italia, si sviluppasse un partito comunista senza uguali, nell’Europa occidentale, salvo, forse, quello francese, per un certo periodo. E questo partito, sia in proprio che attraverso le proprie emanazioni e filiazioni, tanto legittime quanto spurie, si è reso colpevole di delitti, disastri, atti di terrorismo nonché, nell’immediato dopoguerra, di un robusto attentato alla libertà italiana. 

Tutto documentato, tutto archiviato: solo che nessuno degli zelantissimi ricercatori di sinistra si è mai sognato di lavorare su quei faldoni censurati, di spolverare quegli scaffali proibiti. Eppure, sono gli stessi ricercatori che, qualora si profili all’orizzonte una trama nera, si gettano a capofitto sul proprio lavoro, con uno zelo degno di Stakanov, comunista anche lui, peraltro.

Insomma, bù per me mia bù per te: passando dai giochi dei bimbi in cortile alle pagine dei più titolati quotidiani o alle felpate aule dei più prestigiosi atenei, la morale non cambia. Solo che, all’illogicità, nell’operazione di camouflage messa in atto dalla sinistra, si aggiunge il dolo: sanno benissimo, i professoroni, le grandi firme, che lo stalinismo si autodefiniva comunismo e che le Br si riferivano a sé come Partito Comunista Combattente. Sanno che Togliatti voleva il confine d’Italia all’Isonzo e, perché no, al Tagliamento. Sanno che Ramelli non è stato ammazzato da una caduta in motorino, ma dalle chiavi inglesi di un gruppo di comunisti rabbiosi e sanguinari. Lo sanno, ma non lo dicono. 

Non è che lo neghino: semplicemente, fanno finta di nulla. Se si potesse fischiettare per iscritto, le loro pagine sarebbero piene di sifolii imbarazzati. È una tecnica precisa: la si è vista in azione in molti casi eclatanti, dalle fosse di Katyn alle foibe. Negare, fare finta di niente, lasciare che il tempo ricopra le porcherie e, se è proprio necessario, giustificarle. Con la benevola approvazione degli avversari politici, in una sorta di triste conventio ad celandum. E denunciarlo non è mai servito: troppa bambagia nelle orecchie, troppo esili le voci di denuncia. Oggi, però, si alza una voce che, per autorevolezza, è tutt’altro che esile e, forse, a qualcosa servirà. Così, dobbiamo essere grati a Galli della Loggia, anche solo per averci provato.

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