i mandanti

Reddito di cittadinanza, sinistra-M5s soffiano sul fuoco: "È bomba sociale"

Francesco Specchia

Il tono è quello, infiammato, di uno Spartaco massimalista; il gesto è quello di Masaniello che mette a ferro e fuoco la città nel boato della rivolta fiscale contro il vicerè. Napoli è avvezza al prologo (spesso soltanto al prologo) delle rivoluzioni. Sicché appare quasi normale che oggi una folla di ex precettori di reddito di cittadinanza – avuta improvvisa contezza della fine del loro privilegio via sms - scoppi in una protesta abbastanza barbara, e inveisca contro il governo. E assedi le sedi Inps del capoluogo campano; e ne aggredisca gl’incolpevoli dipendenti. E sembra quasi normale pure che la Cgil Campania, invece di difendere i dipendenti pubblici, dichiari «come avevamo anticipato, la sospensione del reddito avrebbe rappresentato per Napoli una prima avvisaglia di tenuta sociale»; e che parli di «un rischio bomba sociale per una città non pronta a una riforma basata sull’improvvisazione».

 


TIFANO CAOS
Affermazione che rivela un sottotesto: facite ammuina uagliò, sfogatevi ché siamo tutti con voi. Ribellatevi. Innaffiate col kerosene dell’odio la fiamma del dissenso. Perché come afferma Maurizio Acerbo di Rifondazione Comunista «spero faccia esplodere una rivolta che sarebbe sacrosanta contro questo governo dei ricchi e dei prepotenti. Tifiamo rivolta». Rivolta, fratelli. Che poi, tecnicamente, sarebbe incitamento alla lotta armata o, volendo, propaganda e apologia sovversiva: reati di spiazzante gravità, ma transeat. Ora, di solito, i corpi intermedi, i sindacati e le rappresentanze da un lato protestano legittimamente; ma, dall’altro, condannano ogni violenza nascente dalla protesta. Questa la prassi. Oggi però siamo allo scatto evolutivo di livore sociale e rapporti sindacali. Quest’assalto alla baionetta alle sedi Inps nell’ordine: «Testimonia tutta la crudeltà del governo Meloni» (Silvestri capogruppo M5S); «fomenta in modo vergognoso l’iniquità sociale» (Bonelli il Verde); «rappresenta un disastro sociale annunciato, perché nel momento in cui tu, per essere coerente nella lotta contro i poveri, privi centinaia di migliaia di persone dell’unico sostentamento provochi un disastro sociale» (Giuseppe Conte).

 


Naturalmente il 5 Stelle supremo evita accuratamente di parlare del fallimento del reddito nella sua dimensione di politiche attive; elude la citazione alle migliaia di truffe legate ai percettori (tra di essi anche killer latitanti) e del racket che ha reso il sussidio una stortura criminale. Nessuna evocazione del lato oscuro del Rdc. Invece, ad accompagnare le odierne folle inferocite, ecco il mantra che Conte tambureggiava elettoralmente dal dicembre 2022. Il mantra dei «disordini sociali» a difesa del reddito messo a rischio dal governo. Nonché del compito dei 5 Stelle di «evitare che le difficoltà economiche sfocino in rabbia, disperazione e gesti inconsulti». Conte, allora, fece pure un minaccioso invito al Renzi feroce nemico del reddito: «Renzi venga senza scorta a parlare con i cittadini, a parlare ed esporre le sue idee. Dica che in Italia non serve un sistema di protezione sociale. Venga a dirlo e non si nasconda».


I “META-MESSAGGI”
E in quel caso, il sociologo Luca Ricolfi evocò gli studi di comunicazione e i sottintesi sociali di Paul Watzlawick per spiegare il “meta-messaggio” di Conte. Che era: «Se viene senza scorta Renzi rischia il linciaggio. Dunque di nuovo evocazione di disordini e violenze». Ricolfi ricordò anche le precedenti prove di sedizione dell’ex premier: «Dieci giorni prima Conte dichiara: “Meloni togliendo il reddito di cittadinanza vuole la guerra civile”. Un’affermazione incendiaria, motivata dalla più retorica e demagogica argomentazione possibile: “Lei guadagna da oltre 20 anni 500 euro al giorno con i soldi dei cittadini e vuole togliere 500 euro al mese alle persone in difficoltà facendo la guerra ai poveri”». E altri dieci giorni addietro, Conte rispondeva «assolutamente sì» a chi gli chiedeva se, con l’abolizione del reddito di cittadinanza, temeva “una rivolta sociale”. Bene, ora abbiamo la rivolta sociale. E, purtroppo, abbiamo anche i mandanti, non so quanto consapevoli. Presidente Conte ne vale davvero la pena?