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Patrick Zaki, da "Repubblica" a "La Stampa": tutti i rosiconi di sinitra

Giovanni Sallusti

Cortocircuito spettacolare nel caravanserraglio editoriale progressista. Lorsignori sono passati nel giro di ventiquattr’ore dalla parola d’ordine «il governo non fa niente per la liberazione di Patrick Zaki!» a quella «il governo ha liberato Patrick Zaki, ma ha comunque sbagliato!». A distinguersi in questa nuova frontiera dadaista del giornalismo (che poi cela uno stato emotivo vecchio come l’uomo, dicesi rosicamento) è La Repubblica. Che ha già capito tutto, e in mancanza di notizie spara la verità che suonava meglio in riunione di redazione: «Il baratto del Cairo: libertà per Patrick, ma silenzio su Regeni». Che è obiettivamente geniale: non nega il successo conclamato del governo di centrodestra (perché in effetti non è negabile nemmeno nel metaverso di Largo Fochetti), ma lo insozza, lo relativizza, lo collega a una pratica maledetta su cui non hanno fatto un passo in avanti sei governi precedenti, di cui quattro con dentro il Pd. È il bilanciamento osceno dei morti e dei vivi, per cui Patrick sarebbe a casa in cambio di qualcosa che purtroppo esiste già da sempre, la coltre di nebbia egiziana sulla fine di Giulio. Purissima dietrologia, che può valere nel proprio mondo, il quale però non è quello dei riscontri fattuali, ma del pettegolezzo orientato.

TIRANNO SUPERSTAR
Messaggi tranquillizzanti che l’ambasciatore del Cairo a Roma, Bassam Radi, avrebbe recapitato direttamente ad Al-Sisi, del genere «l’Italia ora è dialogante» (tutto e niente, che si debba accettare un dialogo con uno Stato che detiene una persona, se si vuole liberare la medesima, è più che un’ovvietà). L’intuizione del generale autocrate, durante un meeting a Sharm el-Sheikh, che «qualcosa in Italia è cambiato» (cosa non si sa, evidentemente è un chiarimento giornalisticamente irrilevante) e che «i tempi forse potevano essere maturi per dare in pasto all’opinione pubblica qualcosa che assomigliasse a quell’orrendo baratto». C’è perfino la prova regina, per cui «molti sindaci di destra appallottolano gli striscioni “Verità per Giulio» appesi sui municipi delle loro città”». Un mediocre giallista si sarebbe rifiutato di scriverlo, ma i republicones ingurgitano tutto, pur di portare in fondo la rosicata.

L’altra metà del cielo arcobaleno Gedi, La Stampa, per una volta si dà un contegno maggiore in prima pagina, ma poi non riesce a non fare il conto della serva: quanto ci è costato Zaki, quanti affari col generale poco di buono ha dovuto imbastire il governo per liberarlo (ovvero per fare ciò che La Stampa gli urlava di fare fino al giorno prima). E allora giù la lista della spesa: «trattori hi-tech, sementi, grano e couscous le carte della Farnesina per la scarcerazione» (che sembrerebbe quindi ottenuta perfino a buon mercato rispetto a certi precedenti mediorientali, magari di volontari che si erano ficcati in coscienza in bocca alle belve islamiste), oltre a un incontro col segretario generale di Coldiretti. Sintesi dello scambio: «Sviluppo e rafforzamento della filiera agroalimentare egiziana e cibo in cambio del contrasto alle migrazioni e dell'impegno su Zaki». Cari colleghi, capiamo che il titolo “Capolavoro geopolitico della Meloni” per le vostre rotative sarebbe stata eccessivo, però anche questa pseudomeraviglia da anime belle per come si conducono le negoziazioni internazionali (sì, anche buttando sul tavolo il peso di filiere economiche e di interessi convergenti, ma davvero siamo a Monsieur de La Palisse) è un po’ troppo, forse perché è troppo il rosicamento.

 

A PARTI INVERTITE
Che ieri debordava ovunque, perfino nel racconto solitamente più istituzionale del Corriere, che questa volta era sbilanciato tutto dal lato di Al Sisi, con Palazzo Chigi ridotto al ruolo di ratificatore. Perché certo, «è chiaro come la risoluzione del caso abbia origine anche in Egitto» (grazie, lì era trattenuto il ragazzo, ennesima tautologia volta in cronaca). Solo un domanda: se la liberazione di Zaki fosse avvenuta sotto il governo Letta, Gentiloni, Conte, Schlein, i toni, i titoli, i temi sarebbero stati questi? La risposta è perfino più banale degli articoli succitati.