Milano come Portofino

Beppe Sala, ci ripensi: ecco perché via Silvio Berlusconi si può fare

Renato Farina

Da Palazzo Marino nessuno ha battuto un colpo, a proposito dell’invito che Libero ha rivolto ieri in prima pagina a Beppe Sala perché prenda il coraggio con le due mani e deliberi con la sua giunta di intitolare una strada, un viale, una piazza di Milano a Silvio Berlusconi. Portofino ha deciso nei giorni scorsi la dedica di una “passeggiata” panoramica da inaugurare il 29 settembre prossimo. Non è che c’è da fare una gara, e nessuno è profeta in patria, ma la metropoli del Nord potrebbe scegliere qualcosa di più attinente al personaggio di due passi guardando il mare.

Avrebbe senso aggiornare, in onore suo e in aderenza alla vocazione della città, una targa del centro così: “Piazza Silvio Berlusconi, già dei Mercanti”.
La butterebbero giù dopo due giorni. E la rimetteremmo su. 

Ma questo, a quanto pare, non accadrà, Sala regnante e fuggitivo. Il sindaco – ci si fa capire con l’ostentazione del silenzio - si era già espresso sul tema, e in nome dell’antico motto, preso dai sermoni di sant’Agostino, “Sala locuta, causa finita est”, morta lì, e Beppe come Paganini non ripete. Se Dio premuto da Mosè cambiò idea sulla sorte degli Israeliti e non li annientò come aveva deciso, Sala non ha di queste debolezze, non ha la scarsa autostima di uno Jahvè qualsiasi, e come la Pizia una volta pronunciato l’oracolo, quello è e sarà.

 

 

Disse infatti il primo cittadino di Milano, poche ore dopo le esequie in Duomo, il 15 giugno a Sky, non proprio l’equivalente della Gazzetta Ufficiale, ma pur sempre una pay tv: «Per dedicare una via a Berlusconi bisogna aspettare 10 anni, si devono rispettare le regole». Aggiunse che se lui e i suoi assessori non avevano assegnato neppure un giardinetto a Umberto Veronesi, che era «mio amico e ha salvato migliaia di vite», figuriamoci Berlusconi. Che orrore istituire paragoni sulle virtù del prossimo. Ha in tasca il misuratore della dignità altrui, Mister Sala?

Quante vite ha salvato Garibaldi, che pure batte il record italiano di intitolazioni toponomastiche (5472)? E il general Cadorna? Non è che un errore per troppo zelo, comodissimo come alibi per spostare le pratiche nel cassetto della posterità, giustifiche la sua ripetizione. Soprattutto non risponde giustificare il rifiuto in nome della legalità. Tant’è vero che è la legge stessa a prevedere la deroga, non è una concessione regia del sciur sindaco. E siccome esiste il diritto dei cittadini a mettere in discussione la negazione dogmatica di quel che la legge ammette, sarebbe persino un dovere, ma basterebbe la buona creanza perché il decisore prenda in esame le argomentazioni divergenti dal suo diktat. Noi ci si appellava all’evidenza della grandezza del Cavaliere, per divisiva che sia, in linea con la magnanimità del Gran Milan. Escludere di fatto la possibilità di un contraddittorio non fa rima con democrazia.

La materia toponomastica è tuttora regolata dalla legge 1188 del 1927. Gli articoli 2 e 3 vietano di intitolare vie ecc. a persone che siano decedute da meno di dieci anni. Ma l’art.4 che non è un’aggiunta del diavolo stabilisce: «Le disposizioni degli articoli 2 e 3, primo comma, non si applicano alle persone della famiglia reale, né ai caduti in guerra o per la causa nazionale. / È inoltre in facoltà del ministro per l'interno di consentire la deroga alle suindicate disposizioni in casi eccezionali, quando si tratti di persone che abbiano benemeritato della nazione».

 

 

Accertato che S.B. non è di famiglia reale e neppure è caduto in guerra, S.B. rientra tra coloro che hanno “benemeritato della nazione”? Nel 1992 una circolare del ministero dell'Interno 29-09-1992, n. 18 prot. 09203614: “Decreta. A decorrere dal 1° gennaio 1993 è delegata ai Signori Prefetti per la Provincia di loro competenza la facoltà di autorizzare le intitolazioni di luoghi pubblici e monumenti a personaggi deceduti da meno di dieci anni”. Da allora, complice l’accelerazione della storia, è diventata prassi accettare la vox populi, senza pretendere l’unanimità. Perché a Milano dovrebbe vigere la rigidità fascista, togliendo condimento alle dispute? In Sicilia, precisamente a Marsala, nel luogo dove sbarcarono i Mille esiste “largo della Dittatura garibaldina”, un bel largo alla dittatura saladina a Milano ci starebbe bene. Non diciamo di fare come a Napoli dove esiste “Largo Beatles”, in presenza di due dei quattro musicisti, precisamente Paul McCartney e Ringo Starr, ancora vivi, mentre il prefetto dormiva. ma accidenti un po’ di rigidità in meno, non farebbe male.

Era Andreotti a sostenere che l’Italia è una Repubblica fondata sui precedenti, e ce n’è uno clamoroso alquanto a Milano. Gae Aulenti, architetto di fama internazionale, morì a 85 anni il 31 ottobre del 2012. L’8 dicembre seguente le fu dedicata con procedura istantanea la piazza oggi più famosa della Milano del nuovo tipo, splendida corona di grattacieli. A deciderne l’assegnazione fu la giunta di sinistra guidata dal sindaco Giuliano Pisapia su proposta dell’assessore alla Cultura Stefano Boeri, della medesima casta archistar della Aulenti, quando si dice solidarietà disinteressata. La Aulenti non fu mai precisamente amatissima dai milanesi, vedi il perdurante sconcerto per le “sue” tettoie frou frou della Stazione Nord, e il monumento da lei voluto “Ago, Filo e Nodo” di Claes Oldenburg e Coosje Van Bruggen, la composizione da asilo infantile a dominare piazzale Cadorna, rovinando la vista del Castello Sforzesco. Giovanni Testori, che a differenza di Gae era milanese, descrisse così l’opera della «dogaressa dell’intelligenza radical» contrapponendola alla «albicocchica» voce milanese di Ornella Vanoni: «Odontotecnica pochezza, ...ortopedica inanità, culturetta dei palazzinanti...».

Alla amichetta della gauche à la crème de Paris le giunte e i sindaci della sinistra offrono la piazza del futuro, che la si celebri nei secoli dei secoli, e al Berlusca si applica la legge regia del 1927, e non si deroga? Sala, taches al tram.