Bufala russa

Metropol, Salvini: "I protagonisti di questa messinscena devono pagare"

Pietro Senaldi

Domani, su richiesta della Lega, che si ritiene parte lesa, il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica affronterà il tema dello scoop -bufala del settimanale l’Espresso che quattro anni fa venne cavalcato dalla sinistra per boicottare l’ascesa di Salvini. Per chi non ricordasse, venne diffuso un audio, registrato di nascosto all’hotel Metropol di Mosca, noto ritrovo di spioni e affaristi, di un incontro tra Gianluca Savoini, ai tempi stretto collaboratore del leader del Carroccio, con lobbisti, avvocati, presunti intermediari russi e pseudo-diplomatici. Del nastro si capiva poco o niente ma tanto bastò per indagare Savoini, e con esso simbolicamente tutta la Lega, con l’accusa di aver trattato per ottenere finanziamenti indebiti al partito. Il teorema sinistro era: Putin assolda il leader del Carroccio per condizionare la politica italiana in chiave anti-occidentale e fare gli interessi di Mosca anziché quelli di Roma. Se non è alto tradimento, poco ci manca.

 

 

 

L’inchiesta partì con gran fiato di trombe ma andò avanti più sui giornali e nelle trasmissioni di sinistra che non in Procura. I giudici infatti la lasciarono lentamente appassire, fino all’archiviazione di ogni accusa. Neppure gli italiani, avvezzi ai tranelli della stampa schierata, abboccarono e Salvini ottenne il massimo del consenso, il 34%, alle elezioni Europee che il finto scoop del Metropol avrebbe dovuto condizionare. Oggi non solo si sa che l’inchiesta dell’Espresso era una pistola scarica ma ci sarebbero anche evidenze che essa sia frutto di una montatura giornalistica, forse orientata più a finalità politiche che commerciali.

 

 

 

 

LA COLLABORAZIONE

Parrebbe infatti che il giornalista autore dello scoop sia partito già in combutta con l’improbabile individuo che ha poi registrato l’incontro, tal avvocato Gianluca Meranda. Insomma, saremmo in presenza di un complotto al rovescio, nel quale i complottardi sarebbero i denuncianti e non i denunciati. Non sarebbe Savoini che trattava fondi russi per conto di Salvini bensì l’Espresso che avrebbe teso un trappolone alla Lega, forse inserendo un millantatore che tentasse il fedelissimo del segretario facendogli balenare lucrosi affari non si capisce bene per chi. Se così fosse, non ci sarebbe da stupirsi se uno scrupoloso magistrato non politicizzato prima o poi aprisse un’inchiesta per verificare se qualcuno ha agito come agente provocatore, nel tentativo di far commettere a qualche leghista un crimine; la qual cosa, secondo la legge italiana, sarebbe di per sé stessa un reato. Non è augurabile, e non è da escludersi che anche la suddetta inchiesta finirebbe con un buco nell’acqua, e non sarebbe stravagante. Almeno l’incresciosa vicenda si chiuderebbe con un pareggio. Al di là però degli aspetti giudiziari, contano anche quelli politici e giornalistici.

 

 

 

Quanto ai primi, giova ricordare che l’inchiesta dell’Espresso risale a uno dei periodi più bui della nostra recente storia democratica. Non già perché Salvini era il politico più popolare d’Italia, bensì per quello che la sinistra, le sue categorie e i suoi uomini di riferimento si sono inventati per disarcionarlo. Il finto scoop del Metropol appartiene al tempo in cui l’allora ministro dell’Interno veniva incriminato per sequestro di persona per aver impedito lo sbarco di clandestini illegali da navi dello ong. «Sappiamo che è innocente, ma dobbiamo perseguirlo perché è un nemico» spiegava l’allora capo dell’Associazione Nazionale Magistrati a un procuratore inorridito che gli chiedeva conto dell’avviso di garanzia al titolare del Viminale. Erano i tempi in cui la Carola Rackete, speronatrice in porto di navi della Guardia di Finanza, veniva descritta dalla stampa progressista come una “capitana coraggiosa” e assolta dai giudici perché andare contro le imbarcazioni delle autorità italiane era ritenuta parte dell’operazione di salvataggio dei naufraghi. Questa è l’Italia sedicente democratica che accusava Salvini di essere un fascista, un assassino, un criminale. E che, per abbatterlo, ricorreva a metodi che non sarebbero legittimi neppure nei confronti di un criminale vero. Giova ricordarlo oggi, che il centrodestra è tornato al governo e l’opposizione si prepara a combatterlo con le medesime armi di qualche anno fa.

 

LE RESPONSABILITÀ

C’è poi l’aspetto giornalistico, di importanza minore ma non trascurabile. Quando Marco Damilano, che ai tempi del falso scoop era direttore dell’Espresso, spuntò un ottimo contratto con la Rai di Draghi, io lo difesi contro gli attacchi della destra, sostenendo che la sinistra sapeva fare il suo lavoro e chi si lamentava avrebbe dovuto imparare da essa. Perciò, oggi che la Lega chiede la testa del collega, che come minimo scatenò una feroce campagna stampa sul nulla e, nella peggiore e non dimostrata- delle ipotesi contribuì a inventarne le basi, posso ben dire che Damilano, oggi volto del servizio pubblico, non può fare il pesce in barile. Deve spiegare e assumersi le responsabilità, in modo che altri possano trarne le conseguenze. So che molti della sua parte non sono d’accordo e sostengono che il colpevole non sia lui, ma il giornalista che gli ha portato la notizia. Questo però non è vero né per le regole del nostro mestiere, che prevede l’odioso istituto della responsabilità oggettiva del direttore, né in base a una corretta ricostruzione della realtà. Se il direttore paga per un omesso controllo di una breve a pagina 45, come può uscire indenne dopo aver attaccato a lungo il politico più popolare del Paese orchestrando una campagna stampa diffamatoria sul nulla e magari, ma non è provato, perfino sospettando che fosse destituita di fondamento? «Era tutta una bufala, noi lo abbiamo sempre sostenuto. Io porto in giro il mio Paese per il mondo, spiace che per anni un mix di magistratura, politica e giornalismo di sinistra abbiano infangato non me o la Lega, ma tutta Italia sul nulla» ha dichiarato ieri un sobrio Matteo Salvini sull’argomento. Per concludere augurandosi che «qualche giudice apra un occhio e giornalisti e politici che pare siano stati complici della messa in scena paghino per l’errore commesso». Si accettano scommesse. Un redde rationem è quotato meno della vittoria dell’Inter sabato contro i mostri del Manchester City.