Rosso d'imbarazzo

Marco Damilano, "non una sola parola": altra figuraccia, tutto torna

Paolo Ferrari

Ci fu un complotto per colpire la Lega alla vigilia delle elezioni europee del 2019? A chi dava fastidio all’epoca il suo 34 percento? E, soprattutto, chi voleva ricattare Matteo Salvini? Gli ultimi particolari sul caso “Metropol”, raccontati in questi giorni dalla Verità, stanno disvelando scenari quanto mai inquietanti al punto che i vertici di via Bellerio hanno ufficialmente chiesto ieri l’intervento del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir). Il sospetto, sempre più fondato, è che la sedicente inchiesta giornalistica dell’Espresso, allora diretto da Marco Damilano, e che determinò l’apertura di un procedimento penale poi archiviato, fosse stata in realtà pianificata a tavolino per affossare la Lega, mettere in crisi l’alleanza con il M5S, cosa che effettivamente avvenne dopo qualche mese, e favorire così il Partito democratico che aveva perso le elezioni politiche del 2018.

L’indagine della Procura di Milano era nata a seguito di un articolo del 24 febbraio 2019 sul settimanale del Gruppo Gedi, a firma Stefano Vergine e Giovani Tiziano, dal titolo: “Quei 3 milioni russi per Matteo Salvini: ecco l’inchiesta che fa tremare la Lega”. A quell’articolo ne era seguito un altro, “La lunga trattativa di mister Lega”, il 3 marzo successivo. I due articoli descrivevano i passaggi iniziali di una trattativa condotta nel 2018 dalla Lega con sedicenti emissari del governo russo per cercare di trasferire illecitamente, in vista della campagna elettorale per le elezioni europee del 2019, una provvista economica. «Soldi russi per i nazionalisti italiani del vicepremier Matteo Salvini (...) Al centro, uno stock di carburante (...) una compravendita grazie alla quale il Cremlino sarebbe in grado di rifocillare le casse del partito di Salvini alla vigilia delle europee del prossimo maggio», scrivevano i segugi dell’Espresso, adesso al Domani di Carlo De Benedetti.

TOH, L’USCITA DEL LIBRO
L’inchiesta giornalistica, con un tempismo quanto mai sospetto, finì subito all’interno del saggio “Il libro nero della Lega”, firmato sempre dai due giornalisti e commercializzato a partire già dal 28 febbraio 2019, appena quattro giorni dopo la pubblicazione del primo articolo. All’incontro incriminato, avvenuto il 18 ottobre 2018 presso l’hotel Metropol di Mosca, avevano partecipato il presidente dell’associazione LombardiaRussia Gianluca Savoini (che ieri ha ampiamente parlato su questo giornale), l’avvocato calabrese e massone Gianluca Meranda, l’ex bancario Francesco Vannucci e tre intermediari russi. Gli atti allegati all’inchiesta milanese, come detto archiviata lo scorso aprile in quanto non c’era stato alcun passaggio di denaro, hanno permesso di accertare che Me randa aveva agito come un agente provocatore dei giornalisti dell’Espresso, venendo compulsato telefonicamente nei giorni precedenti, e che gli intermediari russi seduti al tavolo del Metropol altro non erano che agenti del Kgb. «La nostra intelligence ha qualcosa da dire, anche alla luce del ruolo che aveva all’epoca Salvini, cioè vicepremier e ministro dell’Interno?», si legge in un comunicato della Lega. «Sconcertante», prosegue la nota del Carroccio, «il silenzio della politica e di alcuni dei principali media del nostro Paese. Questa operazione ha inquinato il dibattito politico e indebolito la nostra democrazia».

 


«Solleverò la questione nella sede opportuna, ovvero il Copasir, nel modo più opportuno vista la delicatezza del caso», ha annunciato Claudio Borghi, componente della Lega del Copasir. «Se un giornale prepara trappole per quello che allora era il leader del primo partito italiano in combutta con personaggi equivoci e servizi segreti stranieri è sicuramente», ha aggiunto Borghi, «una questione di sicurezza nazionale».

E I “GIORNALONI” ZITTI
Il primo a manifestare solidarietà a Salvini è stato ieri Silvio Berlusconi: «So bene cosa significhi subire processi politici e mediatici intentati quando non si riesce a sconfiggere l’avversario nelle urne e si preferisce farlo con la macchina del fango e quella giudiziaria. Sono sempre stato certo dell’onestà del mio amico Matteo», ha dichiarato Berlusconi. Sul silenzio dei giornali, ad iniziare da quelli del Gruppo Gedi che cavalcarono l’inchiesta per mesi, è intervenuta invece la senatrice Stefania Pucciarelli, capogruppo della Lega in Commissione esteri a Palazzo Madama. «Siamo di fronte ad una macchinazione giornalistica, aggravata dalla presenza di uomini legati a servizi stranieri», ha affermato».