Balle

Salvini e Metropol, l'ultima delle bufale Espresso: ricordate la Capua?

Corrado Ocone

 La narrazione costruita a sinistra, e che trova ampi riscontri nelle tante storie del giornalismo italiane ideologicamente orientate, fa de L’Espresso, il settimanale fondato nel 1955 da Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari, il baluardo dei diritti civili conquistati a fatica da un Paese “retrogrado” come il nostro. C’è però un’altra storia, una costante zona d’ombra, che nessuno ha avuto mai il coraggio di narrare: il periodico è stato anche un costruttore seriale di fake news, bene impacchettate e offerte al pubblico. Bufale che si sono scoperte essere tali solo anni dopo, quando i loro effetti avevano già distrutto reputazioni e carriere politiche. Ed è forse proprio nella consapevolezza di questa performatività, come direbbero i filosofi, cioè nella capacità di incidere con la menzogna nella politica e nella sensibilità nazionali, che va ricercata la ragione ultima di un giornalismo che, pur presentandosi come imparziale e anglosassone, ha dimostrato di essere fazioso e ideologico quanto altri mai.
Il caso dei presunti rubli dati al Carroccio è solo l’ultimo dei tanti casi costruiti a tavolino con lo scopo di delegittimare e mettere fuori gioco un avversario politico. Proviamo a ricordarne qualcuno, cominciando dal cosiddetto Piano Solo, cioè un presunto colpo di Stato che sarebbe stato ordito da un ex presidente della Repubblica, Antonio Segni, e dal comandante generale dei carabinieri, Giovanni de Lorenzo.

 

 

 


FANTASIA

L’articolo, firmato nel maggio 1967 da Scalfari e Lino Jannuzzi, frutto di fantasiose e assurde ricostruzioni che non ressero alla prova di un esame critico, aveva lo scopo ben preciso di gettare fango su un politico antifascista che era ostile all’avvicinamento dei comunisti nell’area di governo e che perciò era dipinto come un golpista e un sodale dei fascisti. Un ancora più sofisticato character assassination, per dirla in questo caso con gli americani, vide coinvolto nel 1976 un altro Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, questa volta in carica e costretto alle dimissioni dopo una violenta campagna mediatica che partì proprio con gli articoli scritti su L’Espresso da Camilla Cederna e Gianluigi Melega. In essi, il colto giurista napoletano, sulla base di pettegolezzi e “prove” tanto inverosimili quanto surreali, veniva indicato come Antelope Cobbler, cioè il referente ultimo del colosso americano degli aerei Lockeed che aveva messo in atto una capillare opera di corruzione nel nostro Paese. La stessa Camilla Cederna aveva qualche anno prima ispirato, con i suoi articoli sul caso Pinelli, l’anarchico precipitato da una finestra della questura di Milano, la lettera appello a L’Espresso con la quale, il 13 giugno 1971, il fior fiore dell’intellettualità italiana di sinistra indicava come responsabile della morte il commissario Luigi Calabresi, poi barbaramente assassinato dai terroristi rossi un anno dopo.

 

 

 

IL CASO CROCETTA

E che dire, venendo a tempi più recenti, della presunta e mai esibita intercettazione con cui il governatore della Regione Sicilia Rosario Crocetta si sarebbe confidato con un amico dicendogli che l’ex assessore alla Sanità, Lucia Borsellino, «andava fatta fuori come suo padre»? Anche la virologa Ilaria Capua, prima di diventare una star mediatica al tempo del Covid, cadde sotto la scure delle bufale del settimanale: accusata nel 2014, con tanto di strillo in copertina, di lucrare sui vaccini, dovette emigrare in America prima di essere prosciolta dalla magistratura. Quelli qui ricordati sono solo alcuni, forse i più eclatanti, dei tanti casi che hanno visto coinvolto quello che è stato a tutti gli effetti un giornale-partito. Il giornalismo d’inchiesta si è quasi sempre trasformato, sulle sue pagine, in un giornalismo d’assalto e scandalistico, il cui fine politico era fin troppo evidente. Che il dibattito pubblico ne sia risultato inquinato è evidente. Così come lo è il fatto che è qui, in questa sinistra intellettuale e mediatica, che bisogna scavare per trovare la genesi della “guerra civile culturale” che rende ancora oggi impossibile in Italia una “operazione verità” sugli anni passati.