Fisco rosso

Tasse, il vizio dei compagni: c'è sempre una scusa per chiedere più prelievi

Iuri Maria Prado

Si può criticare chi si occupa di tasse in un sistema fiscale vampiresco come il nostro? Sì che si può, anzi si deve: se non le abbassa. E si può criticare chi le abbassa? Certo che si può: se non le abbassa abbastanza. Questo dovrebbe essere. E invece? Invece a ogni proposito di alleggerimento del carico fiscale si oppone alternativamente che non si può e non si deve. Spiegare perché non si potrebbe è semplice, e lo si fa con la solita balla secondo cui occorrerebbe, prima, eliminare l’evasione, che è perlopiù evasione coatta e cioè prodotta proprio dalla tassazione eccessiva.

Spiegare perché non si deve è più difficile, ma è la spiegazione vera: lasciare più soldi in tasca al cittadino confligge con il principio assistenzial-redistributivo per cui il benessere delle persone è garantito dal potere pubblico che sceglie i beni e i servizi, spesso meno economici e spesso di qualità inferiore, con cui rifocillarle. La realtà è che se pure le casse dello Stato fossero ricolme e se pure l’evasione fiscale fosse ridotta in modo consistente, ebbene comunque non cambierebbe la pretesa impositiva né l’atteggiamento di quelli che ne proclamano l’inevitabilità in questa misura: perché l’idea è sempre che la tassa rimedi a un’ingiustizia e cioè al guadagno come frutto di un’attività individuale.

 

Solo lo scorporo della libertà di iniziativa economica dai ranghi dei diritti umani impedisce di riconoscere la vera natura della tassa: e cioè una punizione della libertà ovvero la violazione, appunto, di un diritto umano. Ma impera il pregiudizio opposto, e cioè che sia giusto tassare non perché è necessario entro limiti ragionevoli, ma perché è ingiusto il guadagno: e se sta lì l’ingiustizia, cioè nel guadagno, il sistema più giusto sarà quello che tassa a più non posso.