Semplice verità

Elly Schlein, Storace la smaschera: "Prima parla del look, poi si stupisce..."

Francesco Storace

Ci mancava Fausto Bertinotti, a elogiare il diritto all’eleganza di Elly Schlein. Come un Soumahoro qualsiasi. Con l’armocromista, in questo caso. Pure l’antico capo di Rifondazione comunista si è infilato nella diatriba, premiando la “svolta” della nuova leader. Ma quando Bertinotti ti dà ragione, nel Pd sofferente ti devi sempre chiedere dove hai sbagliato.
Però a Elly servirebbe anche l’armocronista, in questo caso, perché suscita davvero curiosità il fatto che la segretaria del Pd si lamenti della discussione attorno alle sue scelte abbastanza stravaganti per molti. E non è questione di consulenti di immagine, perché può darsi che abbia ragione chi dice che ne facciano uso diversi vip. Ma fa aggrottare un po’ le ciglia il costo delle prestazioni, quasi uno schiaffo alla miseria con quel qualche centinaio di euro l’ora sborsati dalla leader della sinistra. Un cronista che glielo spieghi non ce l’ha nel suo ufficio stampa?


INDIGNATA
Persino Lilli Gruber ne ha chiesto conto in trasmissione ai suoi ospiti e si è sentita rispondere che l’armocromista ce l’abbiamo praticamente tutti.Si tratta «della mamma o della fidanzata che però non paghiamo trecento euro l’ora...». Ma è giusto che si lamenti proprio lei del dibattito che ha provocato? Se ne dispiace – dice – con una certa sfrontatezza: «Sono una persona che non capisce niente di abiti e di trucco, e non faccio nessuna fatica ad ammetterlo. Non è mai stato il mio ambito, non ho tempo da dedicarci e non credo che uno dei problemi del Paese sia il fatto che mi sia rivolta ad un’amica che lo fa per mestiere». La licenzierà... Per carità, non ci sarà nulla di male, ma se tra 25 aprile e Primo maggio ti fai intervistare da Vogue e te ne esci così, il problema ce l’hai tu e non quelli che si pongono domande non esattamente sbagliate. E che fanno breccia anche nel popolo della sinistra, che da qualche giorno deve rispondere – senza sapere come – alle frecciate degli avversari. I social lo testimoniano ferocemente.

 


È proprio la Schlein a dire cose lontane dalla realtà: «Sono colpita- ha aggiunto la segretaria Pd- di vedere tutti appassionati alle questioni di colore. Non vorrei però che si sottraesse attenzione al resto delle cose che ho detto anche in quella intervista di 30 domande in cui ne è emersa una, mettendo al centro la questione del lavoro, del contrasto alla precarietà, mettendo al centro il tema dell’Europa che per noi del Pd è fondamentale e anche naturalmente la questione del clima». Ecco, qui si rivela il bluff. Perché non comprende che a “fare titolo” sono quelle cose strane che ammette di pagare e non le proposte – praticamente inesistenti – sui temi che vorrebbe fossero al centro delle cronache politiche. Se c’è solo demagogia politica e non l’armocromista preferita, è evidente che lo sbadiglio si moltiplica.

La Schlein rappresenta un’opposizione evanescente, che fa abbondante uso della parola “diciamo” senza farci comprendere quando sarà il turno di quella “facciamo”. Anche in Parlamento lo si vede. Nella giornata – appena 24 ore dopo – che ha rimesso le cose a posto sul casino del Def, il Pd ha scelto l’Aventino in discreta quantità, facendo avanti e indietro dall’aula di Montecitorio al Transatlantico. Un rumore di minoranza piuttosto ridicolo, parrebbe. Bisognerebbe spiegare a Elly che l’incidente sul Def non è stato determinato da un’opposizione capace di battere la maggioranza in Parlamento, ma da 6 deputati che sarebbero bastati per chiudere la pratica. Antipatico, ma non certo causato dai 19 voti contrari di Pd e soci. Ininfluenti. Se questa è la politica della minoranza, ovvio che passa in primo piano la battaglia della capa del Nazareno per mettersi in forma con l’abbigliamento: altro non c’è. Persino sul lavoro (altrui) la Schlein borbotta senza senso perché il governo si riunisce di Primo maggio. Ma stia tranquilla che gli operai non spenderanno tutto dall’armocromista: quel privilegio a lei non lo toglierà nessuno. Non subirà gli affannosi ritardi delle liste d’attesa.