Cambia il vento

Giorgia Meloni promossa dalla "City": chi si mette in fila per un selfie

Fausto Carioti

Il feeling che non avrà mai a Roma con gli eredi dei partigiani rossi, Giorgia Meloni lo ha appena avuto a Londra con il premier Rishi Sunak e i suoi ministri conservatori, eredi di quel Winston Churchill al quale l’Europa deve la libertà. Due giorni che hanno fornito anche un’evidenza: l’Italia vista con scetticismo dai grandi investitori internazionali, vittima designata della speculazione, esiste solo nelle fantasie di una certa sinistra nostrana. Nella capitale più cosmopolita d’Europa (la Brexit nulla ha cambiato, da questo punto di vista), l’interesse dell’establishment politico, finanziario ed industriale per il capo del governo italiano è stato superiore alle attese. Ed è un’ottima notizia, perché l’appoggio popolare è fondamentale, ma senza un rapporto solido con le élite non si governa.Non fosse stato per lo scivolone della maggioranza giovedì a Montecitorio e perla morte dell’amico Andrea Augello, che avrebbe voluto accanto a sé al governo (rifiutò lui, proprio perché malato), Giorgia Meloni sarebbe reduce da due giorni perfetti.

Il ricevimento in onore del presidente del consiglio che si è svolto ieri nella residenza dell’ambasciatore Inigo Lambertini, al termine del “Workshop on Italian Agribusiness” col ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, ha visto più di quattrocento invitati, oltre al ministro degli Esteri britannico, James Cleverly, e quello del commercio, Kemi Badenoch. Il gotha di stanza a Londra, di fatto. Esponenti del corpo diplomatico appartenenti ad oltre venti Paesi, assieme a rappresentanti dei grandi gruppi industriali e della finanza, inclusi il fondo d’investimento statunitense BlackRock(il più grande del mondo), la banca inglese Hsbc e le americane Goldman Sachs, Morgan Stanley e Lazard. Non è stato un incontro con la City e perla City (protagoniste erano le eccellenze alimentari italiane), mala City era lì. E gli uomini in grisaglia e cravatta regimental si sono messi in fila per farsi i selfie con la premier.

IL TIRO ALLA FUNE
La sua foto, del resto, ieri mattina campeggiava sulla prima pagina del Financial Times, che della City è la bibbia: Meloni e Sunak insieme, in una stretta di mano tutt’altro che formale, ad illustrare l’articolo in cui si racconta il «tiro alla fune» sulla stesura del memorandum di quattordici pagine che i due hanno siglato giovedì: Sunak che spinge per inserire passaggi molto duri sull’immigrazione (si può essere più duri del governo italiano e restare una democrazia liberale) e la Meloni che calibra le parole affinché quel testo non sia incompatibile con gli impegni assunti dall’Italia in sede Ue. Proprio il rapporto con Sunak promette di essere uno dei punti di forza della politica estera della Meloni. Le differenze tra i due (lui viene dal mondo della finanza, discendente di una famiglia di origini indiane) si sono rivelate poca cosa rispetto a ciò che li unisce. Che sono le idee, innanzitutto: non a caso la premier italiana guida l’Ecr, il partito dei conservatori europei, fondato nel 2009 proprio dai tories inglesi, il cui leader oggi è Sunak.

Due conservatori della nuova generazione, insomma, figli di due crisi parallele: Sunak è arrivato al potere, per rimediare agli errori di politica economica commessi da Liz Truss, negli stessi giorni in cui la Meloni entrava a palazzo Chigi preceduta dalle profezie della sinistra italiana, che l’aveva presentata all’Europa come colei che avrebbe rovinato il lavoro di Mario Draghi e sfasciato i conti pubblici. Ambedue hanno deluso gli iettatori e si sono rivelati all’altezza del compito. Giovedì Sunak ha trascorso tre ore con lei, a colloquio privato, prima nella residenza di Downing Street e poi accompagnandola nel luogo dell’Abbazia di Westminster, chiuso ai comuni mortali, in cui sarà incoronato Carlo III. Il trattamento che il protocollo inglese riserva ai pochi amici speciali, insomma: quelli che sono considerati al livello del presidente degli Stati Uniti.

Per capire quanto forti siano le affinità politiche, basta leggere quel memorandum. Di regola simili documenti sono generici e retorici, ma non è questo il caso. La posizione è netta sull’atlantismo («La Nato è la pietra angolare della sicurezza nella regione euro-atlantica. Ci consulteremo per migliorare la cooperazione e l’allineamento nella Nato»), sull’opposizione alla Russia («siamo impegnati in uno sforzo coordinato nel soddisfare i bisogni dell’Ucraina per tutto il tempo che si renda necessario») e sull’immigrazione, per la quale s’impegnano ad «un cambio di , passo» che prevede anche «rimpatri volontari e riammissioni». Il succo del discorso è che oggi Roma ha più cose in comune con Londra di quante ne abbia con ogni altra capitale, Bruxelles inclusa.