Governo
Antonio Socci e la svolta Meloni: "Il jolly in mano alla premier"
Il governo Meloni si trova a gestire un Pnrr voluto e progettato da altri (il governo Conte 2 giallorosso e il governo Draghi) e afferma di voler ricavare il meglio da un piano che appare pieno di falle e problemi. Così da settimane il “partito mediatico”, il Pd e il M5S bombardano l’attuale esecutivo accusandolo di avere dubbi sul “messianico” Pnrr, di volerlo cambiare e di avere componenti – la Lega – che consigliano di spendere solo ciò che serve davvero. Cosa che appare loro come una bestemmia che ci farebbe fare “figuracce” con l’Europa. Per loro il Pnrr è un dogma di fede. Non se ne discute nemmeno: si venera. Eppure è in corso da giorni un dibattito molto critico, sul Pnrr, proprio a sinistra e sui giornali contrari al governo. Ecco alcuni di questi interventi. Il 1° aprile sul Foglio (giornale molto europeista e di area centrosinistra) è uscito un articolo di Nicola Rossi, economista, già consigliere economico del presidente del Consiglio D’Alema e poi parlamentare Ds -Ulivo -Pd. Il suo commento ha questo titolo: “Selezionare le opere salva Pil. Ecco un’exit strategy per il Pnrr”. Egli mette in guardia dallo spendere per spendere, anche per progetti assurdi come in passato. Scrive Rossi: “Questa sequenza di eventi – che descrive il nostro passato prossimo e che sembrerebbe anticipare il nostro futuro prossimo – era scritta nelle scelte del 2020 relative al Pnrr e nella irresponsabile e sconsiderata decisione del governo dell’epoca (il Conte 2 giallorosso, ndr) di raccattare ogni risorsa disponibile (...) – unico fra i principali paesi europei – lasciando immaginare agli italiani che si trattasse di risorse provenienti dall’albero degli zecchini d’oro di Pinocchio che non a caso si trovava nella città di Acchiappacitrulli. Ed è una sequenza di eventi che è stata ribadita dalla improvvida decisione del governo entrato in carica successivamente (governo Draghi, ndr) di non ridiscutere una scelta visibilmente tanto irragionevole quanto pericolosa”.
Secondo Rossi, “il governo che ha ereditato questa sequenza di errori (governo Meloni, ndr) ha davanti a sé una sola reale possibilità: d’intesa con la Commissione europea, selezionare ordinatamente i progetti che hanno una reale possibilità di incidere sulla capacità di crescita del paese e che hanno una concreta probabilità di vedere la luce nei tempi previsti e solo quelli, e rinunciare agli altri (e alle relative risorse)”. Rossi ricorda infatti che i fondi del Pnrr dovranno essere restituiti, quindi “è imperativo che – fino all’ultimo centesimo – contribuiscano a portare il tasso di crescita potenziale del prodotto italiano ai livelli degli altri grandi paesi europei”. Il 6 aprile Nicola Rossi torna a intervenire sul Foglio. Titolo: “Perché ‘spendere per spendere’ sarebbe il fallimento del Pnrr”. L’economista afferma che il dibattito sul Pnrr non è ozioso e inutile, ma doveroso, perché la stima sull’impatto macroeconomico di breve periodo è “quantificabile fra 1,8 e 3,4 punti percentuali nel complesso dei primi sei anni”, ma tale stima si riduce a 0,2-0,3 punti percentuali in media all’anno in caso di “errata selezione degli investimenti pubblici”. Sarebbe un disastro. Altri due importanti economisti, Tito Boeri e Roberto Perotti, certamente non simpatizzanti per il governo Meloni, su “Repubblica” (uno dei giornali che ha trasformato il Pnrr in un dogma indiscutibile), hanno firmato due interventi critici. Il 6 aprile con questo titolo: “Cinque errori sul Pnrr”. Nel loro mirino i “progetti sbagliati” e la “fretta” che ha caratterizzato tutta questa vicenda. Il 16 aprile sono intervenuti di nuovo e “Repubblica” ha collocato addirittura in prima pagina il loro articolo. Titolo: “Sul Pnrr si deve invertire la rotta”.
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Una sintesi delle loro critiche: “1- Abbiamo fatto incetta di soldi senza chiederci prima su cosa e come spenderli; solo dopo abbiamo predisposto in modo affrettato dei piani. 2 – Non è un difetto genetico italiano: nessun Paese, neanche i meglio amministrati, può spendere efficacemente un tale fiume di denaro in così poco tempo. 3 – Per presentare i piani entro i tempi richiesti abbiamo seguito la moda del tempo senza discutere quali fossero le nostre vere priorità. 4 – Per soddisfare le scadenze si finisce per spendere i soldi in grandi progetti piuttosto che in micro-interventi spesso più utili... 5 – Un tale ammontare di denaro, gestito da una miriade di enti e figure a livello di governo centrale e amministrazioni locali, è praticamente impossibile da monitorare, come risulta evidente dal rapporto della Corte dei Conti. A ciò si aggiunge il fatto che le regole imposte dall’Europa per spendere queste risorse sono molto rigide, quasi da pianificatore sovietico, come rimarcato da Maurizio Ferrera”. Anche Giuliano Ferrara ha paragonato il Pnrr ai piani quinquennali sovietici, disastrosamente dirigisti.
Il 20 aprile “Il Foglio” dà la parola a un tecnico, Paolo Conrad Bercah. Titolo: “Il Pnrr all’esame di un architetto: tempi impossibili, carenza di forza lavoro, cattiva fede”. Sottottitolo: “Le tempistiche del piano sono state stilate da persone che evidentemente ignorano il concetto di cantiere edile e il lavoro necessario per realizzare i progetti”. Infine sabato, sulla prima pagina del “Corriere della sera”, un altro giornale che ha trasformato il Pnrr in dogma indiscutibile e intoccabile, Francesco Verderami ha firmato un commento che inizia così: “Il problema principale del Pnrr? Sono troppi soldi. Non è una tesi nata con il governo Meloni, è un’analisi svolta ai tempi del governo Draghi” che ereditò “il lacunoso progetto varato da Conte”.
CORREZIONI IN CORSA
Verderami ricorda che mentre gli altri paesi europei “si erano limitati ad acquisire i sussidi, Roma aveva chiesto anche i soldi a prestito... La bulimia del premier grillino era motivata dalla volontà politica di mostrare all’opinione pubblica come fosse stato capace di ottenere tanti soldi da Bruxelles... Ecco il baco ereditato oggi dal gabinetto di centrodestra... che l’esecutivo di unità nazionale (Draghi, ndr) non poté correggere sia per la ristrettezza dei tempi sia perché Draghi non poteva completamente sconfessare Conte, siccome M5S era il partito di maggioranza relativa. Ma adesso tocca a Meloni far quadrare il cerchio”. La premier dovrà dunque rimediare a errori altrui, ma vuole mantenere tutti (o buona parte di) quei fondi. C’è chi dice che abbia un jolly e punti su società capaci di realizzare grandi progetti come l’Eni. O forse ha altre carte. L’impresa, se riesce, avrà del prodigioso.