I conti con la storia

Pd, se sinistra Schlein non riescono ancora a condannare il comunismo

Giovanni Sallusti

Chi ha fatto i conti con la storia e chi no. Ieri, nell’aula del Senato, la realtà politica si è ripresa i suoi diritti sulla rappresentazione mediatica, ribaltandola. Sì, c’è qualcuno che si trascina una morbosità irrisolta col proprio passato, un misto di rimozione e negazione ostinato che ottunde la coscienza e offende i morti. Lievissimo dettaglio: costui sta dalla parte sinistra dell’emiciclo. Non stiamo provocando, anzi noi vorremmo finalmente mettere a referto la nascita di una sinistra compiutamente socialdemocratica che condivida certe premesse valutative minime su cosa è stata quella mattanza chiamata Novecento. Ebbene, diteci voi se le seguenti parole, tratte dalla mozione presentata dal centrodestra in tema celebrazioni del 25 aprile, non siano tranquillamente sottoscrivibili da qualunque uomo della sinistra democratica occidentale nell’anno del Signore 2023. Il testo riconosce limpidamente «l’importanza delle date che ricordano momenti fondamentali della storia dell’Italia unita, libera e democratica», a partire da quella della Liberazione.

 

 

 

Chiede quindi che «rappresentino momenti di effettiva condivisione e rafforzino i sentimenti di unità nazionale, di inclusione, di perseguimento del bene comune e, ove necessario, di riconciliazione». In questo spirito, si enumerano altre ricorrenze: oltre al Primo Maggio e al 2 giugno, figurano tra le altre «il 10 febbraio, Giorno del ricordo in memoria dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata, il 18 aprile, quando gli elettori italiani collocarono la nostra Nazione nel mondo libero e democratico, il 9 novembre, Giorno della libertà, quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino».

 

 

 

A supporto della proposta, i firmatari citano non qualche pubblicazione clandestina della galassia neofascista, bensì la Risoluzione con cui il Parlamento Europeo ha condannato «con la massima fermezza gli atti di aggressione, i crimini contro l’umanità e le massicce violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime nazista, da quello comunista e da altri regimi totalitari». Era il 19 settembre 2019, il giorno in cui l’Unione acquisì un’ovvietà storiografica, logica, morale: l’equivalenza tra i totalitarismi (peraltro dichiarata a suo tempo dagli stessi interessati col patto Ribbentrop/Molotov). Stessa sovrapposizione mortifera tra Partito e Stato, stesso annichilimento della libertà individuale, stessa pretesa palingenetica omicida (nel nome della Razza, o della Classe). Stesso inferno, si chiami lager o gulag.

 

 

 

DISSOCIAZIONE AD HOC

Ebbene in questo caso e solo in questo, il piddino, specie politica caratterizzata dal fondamentalismo europeista, si dissocia sdegnato da quel che accade a Bruxelles.
Paragonare il Fuhrer a Baffone nostro («l’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell’umanità», titolò L’Unità quando lo sterminatore bolscevico morì), sia mai. E ieri, infatti, il Partito Democratico ha votato contro l’analogia blasfema inserita nella mozione governativa, insieme a quella sua propaggine vetero che è Verdi-Sinistra Italiana e quei dichiarati ammiratori del comunismo cinese che sono i Cinque Stelle.

 

 

 

Il dispositivo è passato comunque, con 78 sì, 29 no e 26 astenuti. Poco prima, la maggioranza aveva viceversa votato la mozione sul 25 aprile delle opposizioni, che invitava ad «adottare le iniziative necessarie affinché le commemorazioni delle date fondative della nostra storia antifascista si svolgano nel rispetto della verità storica». Nel testo peraltro si tirava scompostamente per la giacchetta la senatrice a vita Liliana Segre, spingendola a precisare di «non essere promotrice né firmataria di alcuna mozione di quelle oggi in discussione nell’Aula del Senato». Pare abbastanza evidente, chi siano quelli ancora prigionieri fino al grottesco delle proprie ossessioni. Potete chiamarli in molti modi, il migliore rimane uno. Comunisti.