Chi sono i compagni

25 Aprile il Pd invita i migranti ma esclude gli ucraini

Pietro Senaldi

Porte aperte a chi favorisce la cosiddetta “invasione” supportando con il proprio comportamento l’immigrazione illegale. Porte chiuse a chi una mattina si è svegliato, ha trovato l’invasore e ha imbracciato il fucile per combatterlo. Tra le varie torsioni alle quali si costringe e contraddizioni alle quali si espone, la sinistra è incappata anche in quella del 25 aprile con lista degli ammessi a partecipare: tu sì, tu no a seconda di quanto mi stai simpatico e mi sei funzionale. Dopo l’intimazione che la sindaca di Marzabotto, già presidente del Pd solo per ragioni di genere e di origine, ha fatto al premier e al presidente del Senato di non farsi vedere per le celebrazioni della Liberazione, dalla rossa Emilia-Romagna è arrivato un altro caveat. Il Comune di Ravenna ha infatti diffidato un’associazione di ucraini dallo scendere in piazza con i sedicenti partigiani nostrani, accusandola di essere un covo di “mistificatori”.

Gli ucraini, supportati da Italia Viva, +Europa e Psi, ma forse proprio questo - non aver baciato la pantofola del Pd - è il principale problema, sostengono che Putin sia un fascista e pertanto che la loro vicenda sia simile a quella degli italiani che andarono in montagna per combattere i nazisti e la Repubblica di Salò. La sinistra nostrana però non è del parere e ricorda ai seguaci di Zelensky che anche loro, in quanto a fascismo, non scherzano.

 

Non arriva a dire che i difensori di Kiev hanno il difetto di essere sostenuti dal governo Meloni e si limita a descrivere il battaglione Azov con le stesse parole che gli dedica lo zar Vladimir, però il messaggio è chiaro: il 25 aprile dalle nostre parti è una festa a inviti e sono graditi solo quelli dalla Schlein a sinistra, alla faccia dell’unità nazionale e della riconciliazione, che peraltro i nostri padri costituenti hanno sancito, vanamente, ottant’anni fa.

Certo, i trinariciuti romagnoli chiudono le porte agli ucraini perché il sostegno alla loro resistenza è una ferita aperta nella sinistra. Il vecchio segretario, il draghiano baio-Letta ne era un fautore senza se e senza ma mentre la sua sostituta Elly fa il pesce, ha talmente tanti capitoli aperti e un partito così diviso che cerca di schivare le rogne tacendo e parla solo di cose secondarie o dove il consenso è scontato, anche se non sempre le riesce, vedasi capitolo uteri in affitto. Ma non è solo questo il punto. Quel che è inaccettabile infatti è la premessa, ossia che la sinistra e le associazioni di partigiani che non hanno mai fatto la Resistenza si arroghino il diritto di gestire l’elenco degli sgraditi in corteo, nel quale finisce sempre anche la Brigata Ebraica, vittima dello storico antisemitismo comunista.

Forse lor signori ignorano che il Paese festeggia la vittoria degli antifascisti non in quanto affermazione dei comunisti stalinisti alla Togliatti, che poi furono sconfitti nelle urne e dalla storia, bensì come trionfo della democrazia, parola che si fonda sull’inclusione. La democrazia degli antifascisti però, malgrado siano passati ottant’anni, non è ancora del tutto compiuta, visto che si basa sulla delegittimazione dell’avversario, che può di volta in volta avere la faccia di Berlusconi, Salvini, Meloni o anche Zelensky. Viceversa, essendo l’antifascismo diventato da valore generale bandiera di una parte, ovverosia la sinistra estrema, essa si riserva di includere sotto il suo ombrello chiunque gli garbi. 

 

A questo giro tocca al sindaco di Cutro e alle associazioni non governative che solcano il Mediterraneo con le loro navi, chiamate in piazza il 25 aprile a Marzabotto non per celebrare la cacciata dell’invasore ma più prosaicamente per rompere le scatole meglio al governo vigente. Tra un paio d’anni a festeggiare la Liberazione potremmo trovarci i produttori di grilli fritti, gli ecoteppisti che imbrattano i monumenti o le coppie gay che si noleggiano uteri per procreare. E chissà fino a quando il mito della Resistenza saprà resistere alle forzature di chi continua a ficcare sotto il suo cappello gli affari propri.