Come la mettiamo?
Regionali, vince il buon senso e perdono i benpensanti
“Piazze piene, urne vuote”. Così Pietro Nenni, con una frase che è passata agli annali della politica italiana, commentò i risultati delle elezioni del 1948 che videro la vittoria dei democristiani. Eppure, l’alleanza fra comunisti e socialisti, il cosiddetto Fronte Popolare, aveva dato l’impressione per tutta la campagna elettorale di potercela fare per la sua straordinaria capacità di mobilitazione e per avere dominato il dibattito pubblico.
Gli intellettuali, anche quelli che fino a qualche lustro prima erano stati fascisti di tutto punto, non perdevano occasione per far sapere al “popolo bue”, che il futuro, il progresso, la società degli eguali, erano a sinistra. Oggi le piazze sono anche e soprattutto quelle virtuali della televisione, del web, della stampa. E anche se di acqua ne è passata veramente tanta sotto i ponti, esse continuano ad essere dominate dalla sinistra, ovvero da una cultura progressista tutta lagna e rivendicazioni, non meno intollerante e illiberale di quella marxista di un tempo.
Se ne è avuta prova nel recente Festival di Sanremo, che nei contenuti extra-artistici, è sembrato essere calibrato sull’agenda di Elly Shlein: denuncia del razzismo, del sessismo, della (ormai solo presunta) discriminazione di genere e sottogeneri, del “fascismo strisciante”. Se ne ha ancora prova ogni giorno nelle altre trasmissioni televisive, e poi nei festival letterari, nell’editoria, nei testi scolastici, ecc. ecc. Per non dire della grande stampa, in primis di quei giornali borghesi che un tempo menavano vanto di essere “indipendenti” e che oggi assomigliano tutti, per faziosità e manipolazione delle notizie, alla vecchia “Unità” o al “Paese sera” di un tempo. Eppure, come nel ’48 furono le “vecchiette” che, andando a votare in massa per la DC, salvarono l’Italia, così oggi è il Paese reale che rappresenta una sacca di resistenza ampia e vincente al conformismo illiberale che la nuova sinistra della politica e dello spettacolo vorrebbe imporci. E come non erano nel torto le prime, così oggi è l’Italia profonda che ha capito tutti i giochi della sinistra e vede con più lungimiranza le cose rispetto alla sinistra della ZTL.
Anche questa volta, gli elettori hanno dimostrato di aver molto più buon senso di quella classe intellettuale o sedicente “ceto riflessivo” che gira intorno al Pd e agli altri partiti di sinistra. Se gli elettori del Lazio hanno voluto dare un colpo mortale ad una classe dirigente di sinistra prona all’affarismo e al clientelismo e incapace di governare, in Lombardia la vittoria di Attilio Fontana ha un significato ancora più importante. Basti pensare solo un attimo alla vergognosa campagna di cui il governatore è stato fatto oggetto nel periodo della pandemia da parte della sinistra e dei suoi mezzi di comunicazione. Il merito di Fontana è stato quello di non reagire, di far parlare i fatti, soprattutto di impegnarsi anima e corpo, giorno e notte, per i cittadini. In una parola, ha dato prova di meritare la loro fiducia. E checché se ne dica la fiducia, soprattutto a livello locale, continua ad essere il maggior capitale di cui può godere un politico. Il resto è, appunto, solo spettacolo.