la scoperta
Mattarella condanna Tito? Occhio al sito del Quirinale: imbarazzo
Ma l’Italia condanna Tito o no? La domanda, naturalmente, è provocatoria. Il dubbio, però, è legittimo. Perché se da un lato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del Giorno del Ricordo ha detto parole chiarissime sulle foibe e sugli infoibatori, dall’altro sul sito internet del Quirinale continua ad esserci una pagina dedicata all’onorificenza ricevuta dal leader jugoslavo nell’ormai lontano 1969... Una cosa alla volta. Ieri, 10 febbraio, era la giornata dedicata, dal 30 marzo 2004, «alla memoria di tutte le vittime delle foibe e dell’esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati».
«La legge sul “Giorno del Ricordo”», ha spiegato Mattarella nel suo intervento al Quirinale, «ha avuto il merito di rimuovere definitivamente la cortina di indifferenza e persino di ostilità che, per troppi anni, ha avvolto le vicende legate alle violenze contro le popolazioni italiane vittime della repressione comunista». E ancora: «La furia dei partigiani titini si accanì, in modo indiscriminato ma programmato, su tutti: su rappresentanti delle istituzioni, su militari, su civili inermi, su sacerdoti, su intellettuali, su donne, su partigiani antifascisti, che non assecondavano le mire espansionistiche di Tito o non si sottomettevano al regime comunista. Le violenze anti-italiane, nella maggior parte dei casi, non furono episodi di, inammissibile, vendetta sommaria. Rispondevano piuttosto a un piano preordinato di espulsione della presenza italiana».
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LA VERITÀ
Insomma, alla faccia di chi, a sinistra, ha paura di accostare la parola “foibe” alla parola “comunismo”. E alla faccia pure di chi sostiene che i titini hanno ucciso solo qualche fascista. Ma non è ancora tutto. «Nessuno», ha aggiunto il presidente, «deve avere paura della verità. La verità rende liberi. Le dittature - tutte le dittature - falsano la storia, manipolando la memoria, nel tentativo di imporre la verità di Stato. Per molte vittime, giustiziate, infoibate o morte di stenti nei campi di prigionia comunisti, l’unica colpa fu semplicemente quella di essere italiani».
Il Capo dello Stato, quindi, dopo aver condannato anche «la politica brutalmente antislava perseguita dal regime fascista», ha fatto capire che nel nostro Paese non c’è spazio per chi vuole «sminuire, negare o addirittura giustificare» le sofferenze inflitte a tanti italiani dai partigiani titini.
LE RICHIESTE
E qui arriviamo al secondo punto. Sì, perché, come noto, il leader comunista jugoslavo ha ricevuto nel 1969 una prestigiosa onorificenza dall’allora presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat. E ancora oggi, sul sito del Quirinale (vedi foto qui a fianco), c’è una pagina che ricorda «Broz Tito Josip decorato di Gran Cordone - Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana». Si tratta di un’onorificenza, per capirsi, destinata a «ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione nel campo delle lettere, delle arti, della economia e nel disimpegno di pubbliche cariche e di attività svolte a fini sociali, filantropici ed umanitari, nonché per lunghi e segnalati servizi nelle carriere civili e militari». Bè, c’è una certa distanza rispetto alle parole di Mattarella, no? Che fare allora?
In questi giorni sono stati in tanti a chiedere la revoca dell’onorificenza a Tito. Tra questi, oltre a diversi rappresentanti degli esuli, anche il presidente del Senato Ignazio La Russa («Se dipendesse da me, l’avremmo già fatto»), il ministro per i Rapporti col Parlamento Luca Ciriani («Sarebbe un gesto simbolico, non contro il futuro, ma di riparazione rispetto ai drammi che queste terre hanno vissuto»), il senatore di Fdi Roberto Menia, “padre” della legge istitutiva del Giorno del Ricordo («Sarebbe il minimo dovere morale, di un Paese civile e democratico, nei confronti delle vittime infoibate») e il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza («Chiedo una volta per tutte che venga ridata la doverosa dignità ai nostri esuli e vengano salutati in pace i nostri infoibati togliendo al boia Tito la massima onorificenza di Cavaliere di Gran Croce della nostra Nazione, rimediando con i fatti a una vergogna dello Stato italiano»). Chissà che non sia la volta buona...