scomode verità
Casini, "dove si è spinto": il libro che può rovinare Conte e i 5 Stelle
È in uscita martedì "C'era un volta la politica. Parla l'ultimo democristiano" (Piemme), firmato da Pier Ferdinando Casini, oggi senatore per il centrosinistra e fra i protagonisti di questi ultimi 40 anni della politica italiana. Pubblichiamo ampi stralci del capitolo dedicato all'antipolitica e alla parabola del Movimento 5Stelle.
L'antipolitica si nutre della cattiva politica: da essa trae alimento e linfa vitale. Con essa cresce e prospera. È per questo che è sempre esistita, sin dall'antichità, dai tempi della polis, la culla della politica, come dimostrano testi e opere che animano ancora i teatri greci e fanno riflettere dopo migliaia di anni. Per andare a periodi a noi più vicini, nel Dopoguerra, fra la Dc e il Fronte popolare, l'antipolitica aveva il volto dell'Uomo qualunque, il movimento e poi partito politico fondato dal commediografo Guglielmo Giannini, di idee liberali e conservatrici, populiste, anticomuniste e in polemica sia con il fascismo sia con i partiti antifascisti del Comitato di liberazione nazionale, a cominciare proprio dalla Dc. Un movimento che nasceva attorno al giornale di Giannini, di cui riprendeva anche il motto: «Questo è il giornale dell'uomo qualunque, stufo di tutti, il cui solo, ardente desiderio, è che nessuno gli rompa le scatole».
«ABBASSO TUTTI»
Ecco le scatole che tornano. I toni sono quelli a cui siamo abituati dagli antipolitici di oggi e che si rileggono nella vignetta che campeggiava sotto la testata del giornale: un poveraccio che scrive su un muro «Abbasso tutti». Per Giannini lo Stato non ha una natura politica, ma solo amministrativa. Per governare serve «un buon ragioniere che entri in carica il 1° gennaio e se ne vada il 31 dicembre e non sia rieleggibile per nessuna ragione». Un amministratore di condominio, insomma, che faccia quadrare i conti e le regole. Niente di più. Peccato che dopo alcune anche felici incursioni elettorali, Giannini finì per candidarsi con la Dc, nel 1953, senza riuscire a entrare in Parlamento. E la sua spinta si esaurì.
Ci ha lasciato però in eredità un termine, "qualunquismo", che ancora oggi usiamo per etichettare un atteggiamento polemico in maniera generica e indifferenziata nei confronti della classe politica: "abbasso tutti", sì. Un termine che ha ispirato anche un personaggio di un film di Antonio Albanese, Cetto La Qualunque, e le sue "perle" di politica. Le similitudini con il Movimento 5 Stelle e Grillo sono tante. (...) La fotografia dell'antipolitica dei giorni nostri parte nel settembre 2007 a Bologna, in Piazza Maggiore, quella dei comunisti di Togliatti e che aveva ospitato lo storico comizio di De Gasperi con mio padre nel 1953.
La piazza rossa, e qualche volta bianca, si riempie di tanti altri colori dietro un sonoro, eloquente e poco educato "vaffa". Migliaia di persone che protestano contro i politici, «tutti ladri e corrotti». Il trascinatore di folle è il comico e blogger Beppe Grillo, che con i suoi spettacoli ha riempito i palazzetti, ironizzando sui personaggi delle istituzioni e sulle grandi vicende e scandali del nostro Paese. Va in scena «una via di mezzo tra il D-Day dello sbarco in Normandia e V come Vendetta», una iniziativa «per ricordare che dal 1943 non è cambiato niente. Ieri il re in fuga e la nazione allo sbando, oggi i politici blindati nei palazzi". Il programma in tre punti è chiaro: no alla candidatura in Parlamento di cittadini condannati in via definitiva o in primo e secondo grado; no all'elezione per più di due legislature; no ai parlamentari scelti dai segretari di partito, ma elezioni con la preferenza diretta. Tutto questo ricordando i nomi dei 25 parlamentari con condanne definitive. È la "crociata" in canotto - quello con cui arriva Grillo in piazza dell'antipolitica, con battute per il "valium" Prodi, allora a capo del governo, ma anche per Giuliano Amato, uno degli uomini più intelligenti e preparati d'Italia: «Ve lo immaginate Brown in Inghilterra che parla con Mister Bean?».
Grillo chiama sul palco personaggi della società civile e chiude con i ragazzi calabresi che hanno coniato lo slogan «E ora ammazzateci tutti», per dire che «l'antipolitica è questa» che «ci siamo rotti le scatole». Uno show di invettive, contro la casta. Ma con una vocazione... politica, visto che poco dopo tenterà di correre provocatoriamente per la segreteria del Pd. Quel giorno Bologna raccoglie il malcontento che ciclicamente serpeggia nel Paese e si anima di facili slogan contro chi è ai vertici delle istituzioni e dei partiti. Un attacco generalizzato ai politici, tutti "brutti, sporchi e cattivi" allo stesso modo. Senza distinguo. Fra persone per bene e no.
Dal V-Day alle liste civiche per le amministrative il passo fu breve. L'anno dopo nacque il Movimento 5 Stelle con la regia della Casaleggio Associati. Arrivano i primi successi, il più rilevante a Parma. Poi il teatrale "sbarco" in Sicilia di Grillo che raggiunge Messina attraversando lo Stretto a nuoto. Qui, nella Regione che ha sempre rappresentato un laboratorio di nuove esperienze, dove la politica fa i conti con il bisogno, il disagio e la criminalità, il movimento dell'antipolitica conquista quasi il 15% delle preferenze e può puntare a Roma con l'illusorio grido della rete, «uno vale uno», e «ri-pulire» il Parlamento. Come? Candidando persone che non avevano mai fatto politica. Che fossero tabula rasa. Sbandierando la verginità politica come garanzia di onestà e correttezza. E poco contava se i candidati fossero capaci o no, se avessero studiato o no, se avessero un lavoro o no. Era il popolo che doveva prendersi il Palazzo per abbattere privilegi, indennità e numero dei parlamentari. Demagogia allo stato puro.
I CONTI CON LA REALTÀ
Se consideriamo Roberto Fico, presidente della Camera, che si presenta dopo la sua elezione alla stazione di Roma Termini a prendere l'autobus per il centro, o Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, che compie i primi viaggi aerei all'estero in classe turistica, possiamo vedere uno stacco abissale, come era prevedibile, tra queste sceneggiate propagandistiche e la realtà che sarebbe seguita: auto blindate e aerei di Stato per tutti!
Il Movimento, che ostentava la democrazia diretta con le dirette streaming delle riunioni e delle consultazioni (pensiamo all'ingeneroso sbeffeggiamento di Bersani all'inizio della XVII Legislatura), anno dopo anno compie la sua metamorfosi. Alle elezioni successive, quelle del 2018, i 5 Stelle toccano l'apice e conquistano un terzo dei seggi alla Camera e al Senato. Sono pronti a governare. E così avviene: Grillo e Casaleggio tirano fuori dal cilindro Giuseppe Conte, professore di Diritto a Firenze, l'avvocato del popolo, anche lui senza esperienze politiche e senza passare dal popolo. È la rete della democrazia virtuale di Rousseau che lo sceglie e lo coopta al potere. Fino all'adesione al governo di Mario Draghi, a cui il Movimento dà il via libera, forte del voto di appena 70.000 militanti sulla piattaforma. Così il partito del "vaffa" disegna fino in fondo la sua parabola discendente: l'antisistema si fa sistema e si congiunge al governo con la sintesi di tutto quello che contestava nelle sue oceaniche adunate di piazza, dai banchieri ai poteri forti, all'Europa della burocrazia. Naturalmente come in ogni soap opera che si rispetti, la capacità di immaginazione è superiore a quello che umanamente si può prevedere. (...)
LA SCISSIONE
Il Movimento 5 Stelle va oltre ogni aspettativa, votando la personalità che più di ogni altra ha per anni identificato con la corruzione del sistema economico e finanziario internazionale. La stessa che chiedeva insistentemente di convocare e mettere sotto accusa in commissione Banche ricevendo da me rifiuti netti e motivati. La guerra intestina divampa dai primi momenti della XVIII legislatura: il più delle volte questioni ideali e di principio si mescolano nel mondo più prosaico a piccoli interessi di bottega; dai versamenti dei contributi alla regola dei mandati. Sta di fatto che un gruppo di 339 parlamentari eletto nelle politiche del 2018 si riduce, dopo appena quattro anni, a 165 membri. Il percorso è costellato da polemiche al vetriolo: il ministro degli Esteri Di Maio è al centro di un attacco forsennato. La sua colpa è quella di esprimere l'ortodossia della politica estera dell'Italia, in base al principio secondo cui i ministri passano, ma politica estera rimane inalterata. Colui che appena 4 anni fa ha guidato in tandem con Beppe Grillo il partito del 32% è costretto o preferisce (le ricostruzioni come sempre in questo caso sono opposte tra le parti) seguire la strada di una scissione