nulla di nuovo
Stefano Bonaccini celebra il Pci: altro che "Pd riformista"
Nostalgia (comunista) e playlist canaglia. Già: l'Inno dell'Unione sovietica sparato ieri l'altro dagli altoparlanti al congresso della Cgil di Bologna sarebbe partito per sbaglio. Un "sinistro". Tutta colpa, si sono giustificati con imbarazzo gli organizzatori, di un povero addetto alla regia che avrebbe confuso l'inno stalinista (riabilitato da Vladimir Putin) con l'Internazionale.
Un clamoroso errore, prendiamo per buona la versione ufficiale, che non ha scosso per nulla però il segretario generale Maurizio Landini, inquadrato più volte durante i festeggiamenti per l'elezione del nuovo eletto Michele Bulgarelli a cui è stato tributato l'inno "sbagliato". Nessun gesto di dissociazione del leader cigiellino davanti al motivetto compromettente, nessuna presa di distanza dopo che il caso è esploso con la denuncia di Fratelli d'Italia. «Di cosa ci si stupisce?», chiederà il lettore di Libero. Di nulla, in effetti. Se c'è un filo-rosso sul quale in Italia c'è chi non si sente chiamato a fare i conti è proprio quello che lega la sinistra post-comunista con la madre patria "sovietica". La casistica è ormai una raccolta antologica.
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MERITO STORICO
Che cosa c'è da stupirsi, del resto, se l’inquadramento storico sul ruolo dell'Urss è dato, ad esempio, da un "saggista" come l'ex segretario del Pd Nicola Zingaretti? «Non ci fosse stata l'Unione Sovietica», vergava nemmeno quattro anni fa nel suo libro Piazza Grande, «non sarebbero state possibili le lotte dei partiti di sinistra e democratici né il compromesso sociale che oggi in Europa è un esempio per tutto il mondo civilizzato». Per Zinga - che comunque ci tiene a dichiararsi non nostalgico dell'Urss - il mondo libero dovrebbe dire grazie... al regime sovietico. Che vuoi che siano i milioni di morti in giro per il mondo che i seguaci della falce e martello hanno sulla coscienza? Vicenda su cui anche i comunisti italiani hanno più di uno scheletro (e un rublo) nell'armadio: a partire dall'appoggio dell'allora Pci all'invasione sovietica dell'Ungheria del 1956, difesa da Palmiro Togliatti e, ai tempi, pure da Giorgio Napolitano.
Eppure, nonostante una gestione tutt' altro che specchiata dei rapporti fra via delle Botteghe oscure e Mosca, non vi è stata alcuna remora - dagli epigoni di quella storia - a festeggiare con i soldi pubblici il centenario del comunismo italiano.
Parliamo dei 400mila euro che il governo Conte - in piena tempesta Covid - mise a disposizione di LeU per le iniziative dedicate all'anniversario del Pci, fondato a Livorno il 21 gennaio del 1921. Una vicenda che interessa ormai solo i nostalgici del "sol dell'avvenire" con tante primavere sulle spalle? Nemmeno per sogno. A dimostrarlo sono stati i cosiddetti "Giovani democratici" scelti personalmente da Enrico Letta per guidare il ricambio generazionale in Parlamento. Fra questi, oltre allo scandalo degli ultrà anti-israeliani che hanno imbarazzato non poco il segretario, alla Camera è finito Marco Sarracino. Uno per il quale il comunismo è una storia «di famiglia», come rivendicava quest' estate sui social pubblicando le foto delle tessere del Pci fra cui spiccava anche il faccione di Lenin. E scorrendo fra i post del giovane capolista del Pd a Napoli - esponente vicino ad Andrea Orlando - non mancava nemmeno quello inneggiante proprio ai sovietici e alle Rivoluzione d'ottobre del 1917 al motto: «Beati quelli che si ribellano per ottenere un mondo più giusto» (sic!).
ALLA FACCIA DEI RIFORMISTI
Si dirà: ma nel Pd per fortuna esistono i cosiddetti riformisti, la corrente modernizzatrice che vede in Stefano Bonaccini il candidato perfetto per riportare i dem sulla via del blairismo. Sarà. Peccato però che il governatore dell'Emilia-Romagna si sia sentito in diritto di "bacchettare" recentemente le ricorrenze degli altri - i post-missini La Russa e Rauti, accusati di ricordare con il Msi una storia di continuità sostanziale con il fascismo - non rinunciando però a celebrare lui stesso il Pci, con tanto di fotona di rito sotto la bandiera storica con falce e martello. Una vicenda per la quale - evidentemente - per Bonaccini vale solo una faccia della medaglia: quella resistenziale. I nodi a doppio filo con l'Urss vanno omessi d'ufficio. Perché di spezzarli una volta per tutte nemmeno a parlarne.