Premier

Senaldi, brava Meloni. Ma ora pensa anche al ceto medio

Pietro Senaldi

La prima volta che ho comprato un quotidiano era il 1982, forse il 1983, non ricordo benissimo né rammento quale giornale fosse. Mi è rimasto invece ben stampato in mente il titolo dell'editoriale: «Mille lire, il resto mancia». Si trattava di un commento contro l'ennesimo aumento della benzina, salita a 995 lire al litro o giù di lì, e le maledette accise che gonfiano, a beneficio dello Stato, il prezzo del carburante. Questo per dire che quanto successo da che il governo ha deciso di non prorogare lo sconto alla pompa di 18 centesimi su ogni litro alla pomba non è una novità. La sola differenza è che stavolta non si tratta di un aumento ma della decadenza di un bonus, peraltro carissimo visto che è costato alle casse pubbliche dieci miliardi in meno di un anno.

Eppure il cessato sconto, che porta la firma della Meloni, viene da giorni trattato dai media con enfasi spropositata, quasi fosse la notizia dell'anno e che quei 18 centesimi facciano la differenza tra la vita e la morte per milioni di automobilisti, quanto neppure una bolletta a tre zeri, di quelle che si vedevano ai tempi del governo Draghi. Gli analisti, antigovernativi e qualcuno anche filogovernativo, visi accaniscono contro perfino più di quanto non faccia il Pd, che ha ben altri guai di cui occuparsi al momento e comunque a riguardo ha la coscienza alquanto sporca.

 

IL DENARO SCARSEGGIA
La levata di scudi è tale che la premier ha dovuto fare un video per difendere la propria decisione. In soldoni, la Meloni ha detto che prorogare lo sconto sarebbe costato un miliardo al mese e che, siccome il denaro scarseggia, ha deciso di destinarlo a cause più impellenti, come il sostegno alle fasce deboli. Fatta la premessa che a chiunque, anche qui a Libero, l'aumento della benzina scoccia parecchio, la spiegazione è comprensibile e la scelta ha una logica.

A voler muovere qualche critica, si può dire che forse il video andava fatto prima e non ieri, quasi per cancellare, tirando in ballo il Covid e la guerra in Ucraina, l'altro video circolante in queste ore, quello del 2019, dove una Giorgia all'opposizione giudicava inaccettabile che per ogni 50 centesimi versati nel serbatoio 35 andassero allo Stato. Per essere pedanti, si può aggiungere che ricordare, come fanno autorevoli esponenti di Fdi, che il taglio delle accise è un impegno di legislatura e quindici sono cinque anni per farlo, al momento ha la credibilità della promessa di un marinaio, richiede un atto di fede.

Questo non toglie che la decisione del governo sia stata saggia e che il premier non fosse tenuto a spiegare che, dietro la scelta, c'è anche l'aspettativa che nei prossimi mesi, come vaticinato dal ministro dell'Economia Giorgetti, uno che la sa lunga, il costo del petrolio si abbasserà e così, si confida, quello del carburante.

 

QUALCOSA DI CENTRODESTRA
Perciò, anziché unirci al coro delle critiche, vogliamo esprimere apprezzamento per la Meloni e per la sua decisione di non fare retromarcia, malgrado le pressioni dell'opinione pubblica e di qualche alleato. Noi di Libero avevamo avvertito il premier che toccare la benzina avrebbe infiammato le persone e le sarebbe forse costato un po' di consenso. Ma chi, dopo aver passato una vita a criticare la politica che esterna e governa in base all'ultimo sondaggio, con una prospettiva al massimo di un mese con l'altro, non può che applaudire un leader che difende le proprie risoluzioni impopolari perché prese, a suo sentire, nell'interesse del Paese. E vogliamo anche aggiungere che è ridicolo fare opposizione setacciando gli archivi per vedere cosa i governanti avevano detto in tutt' altri contesti. Una sola preghiera per la Meloni: dopo aver giustamente pensato alle fasce deboli, butti un occhio anche agli altri, perché il centrodestra non pesca voti solo tra i diseredati, come invece Conte.