A due mesi dall'addio
Mario Draghi, "c'è da sorridere": uno sfogo durissimo
"C'è da sorridere". Mario Draghi sceglie il Corriere della Sera per una la sua lunga intervista-sfogo. A tre mesi dalle elezioni e a due dalla fine ufficiale del suo governo, l'ex premier si toglie qualche sassolino dalle scarpe e torna ai giorni, drammatici, della sfiducia di luglio.
"Il governo si poggiava sul consenso di una vasta coalizione, che aveva deciso di mettere da parte le proprie differenze per permettere all’Italia di superare un periodo di emergenza. Non avevo dunque un mio partito o una mia base parlamentare - sottolinea l'ex numero 1 della Bce -. A un certo punto, la volontà dei partiti di trovare compromessi è venuta meno, anche per l’avvicinarsi della scadenza naturale della legislatura". Non è stata però una fine "naturale", e Draghi tradisce un certo risentimento. "Se guardo alle sfide raccolte e vinte in soli venti mesi di governo, c’è da sorridere a chi ha detto che me ne volessi andare, spaventato dall’ipotetico abisso di una recessione che fino a oggi non ha trovato riscontro nei dati. Ero stato chiamato a fare, dopo una vita, un mestiere per me nuovo e l’ho fatto al meglio delle mie capacità. Sarei dunque rimasto volentieri per completare il lavoro, se mi fosse stato consentito". Parole che suonano come una pugnalata a Giuseppe Conte in primis, il più duro nei suoi confronti e l'uomo che ha fatto poi scattare l'effetto-domino della crisi convincendo a sfiduciare il premier anche Matteo Salvini e Silvio Berlusconi.
"Con il passare dei mesi, la maggioranza che sosteneva il governo si era andata sfaldando e diversi partiti si andavano dissociando da decisioni già prese in Parlamento o in Consiglio dei ministri. Il Movimento 5 Stelle era sempre più contrario al sostegno militare all’Ucraina, nonostante avesse inizialmente appoggiato questa posizione in Parlamento insieme a tutte le altre forze politiche, e nonostante questa fosse la linea concordata con i nostri alleati in sede europea, G7 e Nato. Forza Italia e Lega erano contrarie ad aspetti di alcune importanti riforme — fisco e concorrenza — a cui era stato dato il via libera in Consiglio dei ministri. Lega e Movimento Cinque Stelle chiedevano inoltre a gran voce uno scostamento di bilancio nonostante — come stiamo vedendo — l’economia e l’occupazione andassero bene".