Dietro le quinte
Eugenia Roccella, perché tutti la odiano: ciò che pochissimi sanno
Ci hanno messo dieci secondi a individuare il presunto «ventre molle» del governo Meloni. E chi se non Eugenia Roccella, ministro della Famiglia, della Natalità e delle Pari opportunità? Una donna, pure femminista, persino cattolica, la quale è stata subito timbrata a sinistra, da tutte le sinistre, come la figura-chiave dell'offensiva «contro i diritti civili» che senz' altro avrebbe caratterizzato la politica «identitaria» della maggioranza.
Era venerdì sera, quando il nome della deputata romana di FdI è stato pronunciato al Quirinale, e si sono subito formati eterogenei plotoni di esecuzione. Al primo talk show utile, "Accordi&Disaccordi" sul Nove, si è esibito un quartetto che al nome di Eugenia Roccella ha intonato un madrigale in armonia così perfetta da far sembrare quello Cetra, di venerata memoria, un manipolo di dilettanti buoni per la Corrida. Marco Travaglio, Gad Lerner, Andrea Scanzi e Mauro Corona fino a un momento prima erano divisi su Putin, su Draghi e sull'uso del sapone, poi si sono ritrovati ad essere pm e giudici di un Tribunale sovietico: imputata assente, subito identificata, con un terrificante processo alle intenzioni, come «nemica del popolo».
IL RECINTO - Per costoro era insopportabile la stessa presenza fisica al governo di una signora che andava piuttosto trascinata fuori dal recinto della civiltà per aver affermato che «l'aborto non è un diritto». Il tutto con uno scatenamento verbale che non esiteremmo, se costoro non fossero tutti famosi maschi alfa, a ritenere parecchio uterino, anche se non si dice. Roccella ha chiarito che l'aborto non rientra nelle sue competenze ma in quelle del ministro della Salute. Invano. Nessuno si è sottratto tra gli sconfitti delle elezionia tirare la sua sassata. Falli di frustrazione. Colpisce in particolare il moderato Carlo Calenda. Dev' essersi sentito scavalcato dal Corriere della Sera, che aveva usato per la neo-ministro l'aggettivo ad personam di «ultraconservatrice». Ultra. Una che mena.
Il leader di Azione definisce «le parole di Roccella sui diritti pericolose». Achtung Banditen! Quali parole precisamente? Le stesse pronunciate da Norberto Bobbio e da Pier Paolo Pasolini? Poi tocca a Laura Boldrini (Pd). La quale su twitter lancia l'anatema: «I diritti delle donne sono a rischio con la destra oscurantista al governo. Roccella... daremo battaglia #opposizione». Allega un video dove Roccella dice che «l'aborto non è un diritto».
Può persino non piacere, ma non ha in nessun modo parlato di ritocchi alla 194, dove non c'è mai la formula: «diritto all'aborto». Tocca infine ad Emma Bonino definirla «reazionaria». E dice qualcosa di molto vero: fu lei, Eugenia, ad accoglierla a Roma nella sede del Partito radicale. Non riesce a negare l'intelligenza di chi le insegnò i rudimenti del metodo pannelliano. La teme. Supplica che conservi «la memoria della sua formazione». Esatto! Questa gente ha fabbricato una bambolina voodoo chiamandola Roccella, e con la menzogna pubblica trasformi per davvero nel mostro torvo che loro desiderano sia. Per mangiarla meglio. Non rivelo nulla di nuovo.
Lei non rinnega nulla dei suoi anni e della sua formazione. Anche in quel 1975, da femminista quale è ancora, sosteneva che «l'aborto non è un diritto» ma «un potere» della donna. I diritti fondamentali sono quelli esercitando i quali una persona si realizza. Solo chi crede che l'ideale dell'essere umano sia il maschio che non può portare dentro il suo corpo un bambino, può ritenere un diritto, cioè un passo verso la felicità, quello che (anche allora!) definiva un omicidio, da lei giustificato dalla proliferazione mercantile di «mammane e cucchiai d'oro».
ORA DI RELIGIONE - Cattolica integralista? Gli atei che aveva intorno lo erano. Nata nel 1953 in una famiglia atea, non aveva mai sentito parlare di Dio e di Gesù, fino a quando a nove anni il padre, che era stato tra i fondatori del partito radicale, ritenendola vaccinata, le lasciò frequentare l'ora di religione. La bambinetta scoprì il Vangelo, ne fu sconvolta. Fece in segreto la prima comunione. Radicale e femminista per educazione, ma soprattutto per la genetica dello spirito (sua madre era iper-radicale e iper-femminista), conservò la sua fede come un fatto privato, indicibile nell'ambiente. Si vergognava di credere e di pregare, sarebbe stata rifiutata. Finché in una manifestazione dell'8 marzo (1983) sua madre, che le stava accanto, stette malissimo. La figlia intese tutto questo come un segno. Non era lì la felicità, la libertà non era data per distruggerci, inseguendo il mito dell'attimo fuggente, da afferrare e godere. Per due anni assistette la madre giorno e notte, infine la seppellì. «Dopo 23 anni da quando il Vangelo mi fece trasalire, era il 1985, accettai di essere quello che ero: cattolica, non fu una conversione, ma il riconoscimento di un fatto». Ripete agli amici, e chi è in buona fede dovrebbe prendere un appunto: «Non ho rinnegato nulla, voglio la felicita per le donne. Che possano essere come Giorgia: libere di essere madri, libere di lavorare, libere di non abortire».