Il retroscena
Salvini "fa squillare il telefono". Rumors: Meloni e Berlusconi appesi al filo
«Ti telefono o no, ti telefono o no? Io non cedo per prima... Mi telefoni o no, mi telefoni o no? Chissà chi vincerà?». Non si telefoneranno o sì? Si telefoneranno o no? Gli elettori di centrodestra iniziano ad avere il morale in cantina. Fotoromanza di un governo in crisi ancor prima di nascere. Aveva quasi capito tutto Gianna Nannini, nel 1984, quando cantava i guai e la confusione che l'orgoglio porta nelle relazioni umane e quanto le prime mosse siano determinanti per impostare qualsiasi cammino. Dopo una settimana da matti e un venerdì di botte, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi si sono ritirati nei rispettivi quartier generali per un fine settimana di riflessione e smaltimento di rabbia, che in entrambi segna i massimi livelli, al punto che anche i più stretti collaboratori dei leader sono alla paralisi.
Sotto sotto sono tutti convinti che se ne verrà a capo e che lunedì prossimo avremo il primo governo di destra-centro, ma tutti sanno anche che spetta ai capi dipanare la matassa.
Fronte Arcore. I fedelissimi del Cavaliere temono che la Meloni punti a spaccare Forza Italia, che per la verità già di suo non è troppo unita. Licia Ronzulli, la persona di fiducia di Berlusconi, e Antonio Tajani, il vicepresidente del partito, hanno fatto le liste d'amore e d'accordo, aiutandosi e coprendosi, fino a ottenere l'insperato 8%. Dopo di che, qualcosa è successo, si è creata una divisione profonda tra un ipotetico schieramento del Nord, fisicamente vicino a Berlusconi e molto aperto nei confronti di Salvini, e una pattuglia romana, geograficamente prossima agli uomini di fiducia di Giorgia, con i quali mantengono un dialogo aperto.
I BATTITORI LIBERI - In mezzo, orbitano battitori liberi, come il siciliano Gianfranco Micciché, che alcuni accusano di fomentare il disordine sperando in una carambola che lo porti alla presidenza dell'Assemblea Regionale Siciliana, che gli potrebbe essere offerta pur di allontanarlo dal Parlamento. Altri interessi ballano, come il posto di capogruppo al Senato, che un dicastero alla Ronzulli avrebbe potuto liberare, e alcune poltrone ministeriali.
Esiste il timore tra gli azzurri che la Meloni sia disponibile a concedere ministeri solo ai forzisti del secondo schieramento, quelli più indipendenti rispetto ad Arcore. L'intenzione di Berlusconi, accarezzata ancor più che minacciata, di presentarsi da solo al Quirinale per dire al presidente che non appoggerebbe la leader di Fdi in caso di un incarico mira a scongiurare questo scenario. Non è però la prima opzione di Silvio, che è politico pragmatico oltre il cinismo anche con se stesso ed è pronto a riappacificarsi con la premier in pectore purché lei gli tenda la mano. Un attestato di stima, una dichiarazione conciliatoria, la rassicurazione che non maramaldeggerà su Forza Italia, un appuntamento per fissare in modo definitivo l'elenco dei ministri. Questo è quello che cerca il fondatore del centrodestra, che come tale vuole essere trattato, dalla nuova leader del centrodestra, la cui azione è tutta volta a far capire al vecchio leone azzurro che ora le regole e i riti della coalizione sono cambiati. Si parla duro, ci si mena, e poi si trova un accordo e non se ne riparla per cinque anni. Più o meno questo ha provato a far capire Giorgia, anche mercoledì, alla Ronzulli, quando le ha spiegato che non l'avrebbe nominata ministro.
LA SCEMENZA DEL PD - Fronte Eur-Torrino. Meno male che c'è Letta, Enrico, che dice una scemenza al giorno. Il segretario del Pd ha commentato la stella a cinque punte dipinta fuori dalla sede di Fdi della Garbatella, quella do ve Giorgia si iscrisse, con un evangelico «chi semina vento, raccoglie tempesta» ed è diventato il provvidenziale ber saglio di giornata della leader del centrodestra. Questo ha garantito un sabato senza dichiarazioni polemiche nell'alleanza del governo che spera di partire. Ma il silenzio non de ve trarre in inganno. La rabbia della Meloni nei confronti di Berlusconi non è scemata né ci sono tentennamenti sulla li nea da seguire. La prima, la seconda e la terza scelta del capo di Fratelli d'Italia sono un governo di destra-centro, male trattative devono viaggiare ai massimi livelli. Il confronto per ricucire sta tagliando fuori sia i parlamentari azzurri sia Salvini, il cui parere viene ascoltato ma che non è ritenuto un mediatore, perché Giorgia ritiene di aver già chiuso la partita con la Lega, accontentandone molte richieste in cambio del sostegno e della nomina di La Russa alla presidenza del Senato. La Meloni si interfaccia direttamente con Gianni Letta, Confalonieri e i figli maggiori di Berlusconi, confidando che siano loro, che possono parlare disinteressatamente all'amico e al padre, a convincerlo a non rompere, a non fare il gioco di Renzi, a non mettersi nelle mani del Quirinale e del Pd.
SENZA AMBIGUITÀ - I fedelissimi della leader di Fdi fanno sapere che non c'è alcuna intenzione di lanciare un'opa ostile sul partito di Silvio né di intromettersi nelle divisioni al suo interno, privilegiando una parte piuttosto che l'altra. L'intenzione di Giorgia, che rimprovera al Cavaliere di aver cercato di cambiare, dopo l'incontro tenuto agli uffici parlamentari giovedì mattina prima della votazione in Senato, i termini dell'accordo trovato la sera prima a Villa Grande, sarebbe solo quella di partire senza ambiguità. La convinzione dei suoi collaboratori è che la leader non nutra alcun intento vendicativo e non voglia far pagare all'alleato in termini di ministeri il prezzo di quello che lei ritiene uno sgarbo prima ancora che un errore. Ieri la linea telefonica tra Arcore e l'Eur ha taciuto. Oggi Salvini farà squillare i telefoni di entrambi gli alleati e partiranno le pre-trattative. Già domani Silvio dovrebbe essere a Roma e tutti, a destra di Renzi, sperano ci sia un incontro definitivo e chiarificatore.