Tutto pronto
Dossier-Meloni, il piano per cambiare la Carta (e l'uomo chiave)
Il percorso per far sì che la legislatura alle porte sia quella delle grandi riforme, del presidenzialismo e del federalismo, è già stato disegnato. Lo ha fatto la fondazione FareFuturo, presieduta da Adolfo Urso, senatore di Fdi e probabile futuro ministro. Si tratta, in pratica, del più accreditato "pensatoio" del partito di Giorgia Meloni, del quale fanno parte, tra gli altri, gli ambasciatori Giulio Terzi di Sant' Agata, già capo della missione diplomatica a Washington e possibile ministro degli Esteri, e Gabriele Checchia, ex rappresentante dell'Italia alla Nato e all'Ocse. Il progetto è illustrato nell'ultimo numero della rivista della fondazione, Charta Minuta, dal direttore Mauro Mazza. Prevede di affidare la riscrittura della Costituzione non ad un'assemblea costituente, ossia ad un nuovo "parlamentino" eletto dal popolo col sistema proporzionale, operazione che probabilmente richiederebbe almeno un anno di lavoro prima di partire, bensì ad una commissione bicamerale da creare in tempi rapidi in seno alle Camere appena elette. E delle quali, quindi, rispecchierebbe la composizione.
ACCORDO COI CENTRISTI
Perché questa commissione porti a termine il compito, e non finisca male come quella guidata nel 1997-98 da Massimo D'Alema, è necessario non solo che il centrodestra stringa un accordo al proprio interno, ma anche che si spinga nella ricerca di intese «fino ai confini della sinistra», seguendo l'insegnamento che fu di Pinuccio Tatarella. Ai giorni nostri, significa cercare un accordo «soprattutto con il centro di Carlo Calenda e Matteo Renzi». I due leader centristi si sono già detti interessati a sedersi al tavolo delle riforme: segnali che ai vincitori delle elezioni, scrive Mazza, conviene «cogliere e rilanciare». Un'intesa simile consentirebbe di raggiungere un consenso ampio anche senza il Partito democratico e i Cinque Stelle. Nel Pd già prevale l'opposizione ad ogni tentativo di riscrivere la carta: «Non si tocca il cuore della Costituzione», aveva detto Enrico Letta in campagna elettorale, in sintonia col resto della dirigenza, e la sconfitta del 25 settembre sembra avere radicalizzato questa posizione.
Più attendista il M5S, dove Giuseppe Conte ha confidato ai suoi di voler capitalizzare il consenso ottenuto al Sud candidandosi al ruolo di capo dello Stato, qualora l'Italia si dotasse di un sistema semipresidenziale simile a quello francese. Assieme all'elezione diretta del presidente della repubblica, prosegue la rivista di Fare Futuro, occorrerà introdurre «una forma di federalismo». Questo «non è più - come ai tempi della Lega di Bossi - un cavallo di battaglia divisivo, talvolta portato sul terreno utopistico e provocatorio della "secessione padana", ma è esigenza viva e molto sentita di autonomia». Segno che i referendum di Lombardia e Veneto per il regionalismo differenziato, e le spinte dall'Emilia-Romagna e altre regioni, hanno lasciato il segno. L'altra grande sfida istituzionale che attende il governo e la maggioranza è quella dei rapporti con l'Unione europea. Non è un mistero che a Bruxelles usino la minaccia di ritirare gli aiuti economici agli Stati come metodo per "rieducare" le nazioni i cui valori e la cui idea di "stato di diritto" non coincidono con quelli della Ue (o meglio, della maggioranza dei suoi membri). Le istituzioni comunitarie tendono ad avere un'interpretazione sempre più estensiva di questo potere e in Italia non manca chi concorda con loro: poche settimane fa, prima di lasciare la Corte costituzionale, Giuliano Amato ha voluto condannare «la tentazione di affermare il primato del diritto nazionale su quello comune europeo».
Occorre tracciare un confine e quello del think tank conservatore è chiaro: «Il governo Meloni saprà modulare relazioni costruttive con l'Ue, a condizione che il rispetto sia reciproco». Chi teme l'avvento in Italia di un nuovo autoritarismo (o ci spera, per delegittimare la nuova maggioranza e isolarla sul piano internazionale) deve mettersi l'animo in pace: «Non ci saranno limitazioni di diritti individuali o di minoranze».
UNIONI GAY E ABORTO
Allo stesso tempo, però, «non potranno essere sanciti né legittimati ulteriori abusi, confusioni, equiparazioni».
Varrà per le unioni tra le coppie dello stesso sesso, che «non sono omologabili al matrimonio», e per l'aborto, «scelta consapevole e legittima nello spirito della legge 194, da quarant' anni in vigore, ma mai interamente applicata». Di certo, si avverte, «non potrà rientrare nella categoria dei diritti da soddisfare la pratica immorale dell'utero in affitto, che mortifica la dignità della donna e merita di essere bandita - quale reato universale - da ogni contesto civile». Queste, dunque, sono le intenzioni con cui nel partito del prossimo premier ci si prepara alla nuova fase. Si possono riassumere così: la svolta ci sarà, ma chi vorrà pretesti per scendere in piazza e gridare al fascismo dovrà inventarseli.