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Roberto Speranza, esplode la rivolta: "Dimettiti"

Paolo Brambilla

«Non vogliamo diventare una corrente del Pd», «costruiamo una cosa nuova con Sinistra Italia-Verdi»: commenti di questo genere si leggono nei tanti gruppi tematici (non ufficiali) animati da militanti e dirigenti locali di Articolo-1, il partito del ministro della Salute Roberto Speranza. C'è aria di resa dei conti nella piccola formazione dopo la débacle elettorale. C'è chi contesta a tutto il gruppo dirigente, i vari parlamentari Arturo Scotto, Nico Stumpo e Federico Fornaro, l'errore essersi candidati col Pd, obbedendo ai diktat di Enrico Letta e aver abbandonato ogni tentativo per tenere in piedi il campo largo con il M5S di Giuseppe Conte.

 

 

 

Il malcontento che soffia in Articolo-1, però, non abbraccia solo singoli elettori ma anche militanti e gruppi dirigenti locali. C'è un documento ufficiale, firmato da 300 persone, da titolo evocativo: «La mucca non è più nel corridoio ma a Palazzo Chigi». Chiaro riferimento alla vittoria di Giorgia Meloni: in questo documento si chiedono le dimissioni dei vertici nazionali e «la convocazione di un nuovo congresso».

CLIMA SURRISCALDATO - Nelle regioni il clima è caldissimo. A battere i pugni sul tavolo, ad esempio, è il segretario ragionale della Sicilia Giuseppe Zappulla e il suo gruppo: non vogliono partecipare al congresso costituente lanciato da Letta che significherebbe di fatto entrare nel Pd. Tanto il malcontento anche in Campania, dove a sollevare polemiche per le scelte di Articolo-1 è stato già prima delle elezioni il parlamentare Federico Conte (fratello del vicesindaco di Milano) e l'ex coordinatore regionale Michele Gravano. Il gruppo salernitano-campano è pronto a chiedere le dimissioni irrevocabili dei dirigenti nazionali, da Speranza a Scotto.

 

 

 

Insomma, Articolo-1 è ad un punto di svolta e rischia addirittura la scissione. Il 6 è stata convocata la direzione nazionale (due giorni dopo quella del Pd). La volontà di Speranza & C., nemmeno ben nascosta, è sicuramente quella di partecipare al congresso dem. Mentre un pezzo del partitino vuole abbracciare il progetto di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Altri ancora sperano nella ricongiunzione con Conte che non a caso ripete giorno e notte «lil progressismo c'est moi».

 

 

 



MEZZOGIORNO - A dirla tutta c'è malcontento anche tra i dirigenti che non hanno posto veti aprioristici nei confronti del Pd. Alcuni membri di segreteria come Simone Oggionni (Formazione e cultura), Anna Colombo (politiche internazionali), Piero Latino (lavoro) e Flavia Timbro (legalità) vogliono partecipare ad un congresso costituente della sinistra senza però annullarsi, di fatto, tra le correnti piddine. «Non capisco come il processo possa essere costituente e aperto se è fatto a regole vigenti e se è già ipotecato in tutti i suoi passaggi, dall'iscrizione fino alle primarie», spiega per esempio Oggionni. Insomma, Speranza dovrà fronteggiare una mezza rivolta che parte dal Mezzogiorno. E un malumore che serpeggia in tutta Italia. Nel frattempo, mettendo da parte la retorica «non partiamo dai nomi», è proprio su questo che si stanno interrogando i dirigenti del partitino. Se Elly Schlein sarà in campo supportata dall'apparato del Pd (ovvero Letta, Andrea Orlando, Giuseppe Provenzano) i margini per rientrare nel Pd ci sono. Viceversa, Speranza dovrà inventarsi qualcosa.