Da sbadigli
Letta non scalda neanche la Festa dell'Unità: imbarazzo in platea, cos'è successo
Se lo tenga stretto Letta, il centrodestra. Se la campagna elettorale del capo del Pd inizia con la tonalità con cui ha fatto sbadigliare lo scarso popolo della Festa dell'Unità di Bologna, ci sarà da annoiarsi per davvero. A sinistra. Una quarantina di minuti di parole senza entusiasmo per il tocco d'inizio a trenta giorni dal 25 settembre. Lo scimmiottamento persino della slogan di Giuseppe Conte ("La parte giusta"). Scialbo, senza fantasia, triste, votato alla sconfitta. Così è apparso Letta ai suoi sostenitori fino a che non si sono addormentati. Un dato significativo era rappresentato dal numero di quanti seguivano dal sito del Corriere della Sera il suo sonnolento comizio in diretta: è finita con 45 eroici ascoltatori, compreso il vostro cronista.
Non ha di che stare sereno, Letta, soprattutto perché è destinato a non incoraggiare nessuno quel richiamo incredibile al nostalgismo in salsa prodiana. Sua bonomia ha guidato due governi per un paio di anni ciascuno, se quello è un modello da seguire stiamo freschi. Ma come vuole "vincere" le elezioni, il segretario del Pd? L'intemerata di ieri è stata contro il governo Berlusconi del 2008, quello in cui c'era pure la Meloni come ministro e Tremonti all'economia. Ecco, arrivano i condoni, dice Letta, stavolta senza pronunciare la parola fascismo. E spiega che bisogna "scegliere", che sembra contrapposto al "credo" di Matteo Salvini. Una specie di tardiva scelta di campo che richiama proprio la stagione berlusconiana.
Temi "forti" del discorso, l'ambientalismo con scarsi applausi dalla platea; la scuola a cui obbligare tutti i nostri ragazzi fino a quando non si sa; e poi la fantasmagorica promessa agli insegnanti: «Se vinceremo», ha detto non curandosi della risatine nel pubblico che lo ascoltava sbalordito, «allineeremo gli stipendi degli insegnati italiani alla media europea entro cinque anni». Cinque anni, mica domani... Poi, il fisco. L'attacco è al centrodestra che vuole la flat tax, si attorciglia Letta sulla Costituzione, dimenticando che la Carta è rispettata dalla proposta di tassa piatta. La memoria gli ha fatto difetto anche quando davanti ai suoi non è riuscito a pronunciare la parola "patrimoniale". Non fa presa neppure nel popolo rosso di Bologna. Certo, il battimano c'è allo stipendio in più ogni anno con la riduzione del cuneo fiscale, ma non è una proposta che distingue così tanto il Pd dagli altri partiti: la vogliono praticamente tutti anche se si sono scordati di realizzarla.
Poi, le ultime perle, in un discorso che sembrava dover passare alla storia per l'Italia di domani ma che sembrava quello degli ultimi giorni di legislatura. Vero, non c'era traccia di droga libera, anche perché quelle cose si dicono in Parlamento e non sia mai in campagna elettorale, fanno perdere voti. Ma sui diritti civili promette la grancassa, ed è ancora arrabbiato per l'affossamento della legge Zan con tanto di applausi del centrodestra. Probabilmente è una concessione che deve fare all'uditorio, ma anche Letta sa che insisterci troppo non sposterà consensi a suo favore. Più preoccupante è l'ultima chicca, quella che è servita a incoronare Speranza come uno dei leader di riferimento: se dovessero vincere, aspettiamoci nuove ondate di restrizioni da pandemia. Meglio evitare.