Goodbye Enrico...
Mario Draghi "non salverà Letta": il 'pizzino' da Washington che condanna il Pd
I video girati dal segretario del Pd, Enrico Letta, e destinati alla stampa internazionale, non devono essere arrivati negli Stati Uniti. Vista la sonora bocciatura rifilata dal Washington Post alla politica dei dem e alle scelte del suo leader, il messaggio in lingua inglese, francese e spagnolo dell'inquilino del Nazareno deve essersi arenato davanti alla Statua della libertà. L'eminente quotidiano americano, quello del caso «Watergate» per intenderci, firmato da Bob Woodward e Carl Bernstein, qualche giorno fa ha piazzato un vero e proprio fuori campo, accusando Letta di voler continuare a seguire le «politiche di Draghi» senza però Draghi.
Il premier uscente, «non ha alcuna intenzione di interpretare il ruolo del salvatore in questo dramma. Coloro che sperano ancora che l'uomo che ha salvato l'euro entri nel vivo della campagna per influenzarne il risultato sono destinati a rimanere delusi. Non lo farà». Insomma, per il quotidiano diretto da Sally Buzbee i dem stanno cercando rifilare agli italiani l'idea di voler proseguire con l'agenda Draghi, senza avere colui che l'ha scritta, o quanto meno tratteggiata. Una bella contraddizione in termini. Ma la bocciatura del Washington Post, tanto netta da apparire quasi tranchant in alcuni passaggi («la politica italiana ha una sorprendente somiglianza con le telenovelas sudamericane», scrive il quotidiano statunitense), mette in risalto anche un altro aspetto.
Giusto qualche giorno fa l'ex premier, Giuseppe Conte, oggi capo politico dei 5 Stelle, pur di attaccare Giorgia Meloni ha sostenuto di essere l'unico esponente italiano «a non prendere ordini da Washington». Ecco, dopo l'affondo del giornale di Jeff Bezos, fondatore di Amazon, nei confronti del suo ex alleato di governo, dovrà rivedere le proprie posizioni. Da Washington puoi non prendere ordini, e il centrodestra non sembra incline a ciò, ma non puoi non tener conto dei pareri della stampa americana. Soprattutto quando non fa sconti, come in questo caso. «Durante tutto il suo mandato», scrive il Washington Post, «Draghi ha chiarito che stava rispondendo a un impegno specifico, che gli era stato affidato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, senza passare dalle elezioni. Gli è stata affidata una missione, guidare il piano italiano di ripresa dalla pandemia nella giusta direzione per ottenere finanziamenti dall'Unione europea in cambio di riforme. Quello era il lavoro di un manager, non di un politico, e Draghi non ha mostrato alcun interesse per la politica "sporca", necessaria per mantenere il potere a Roma».
E proprio per questa ragione per il Pd è praticamente «impossibile fare Draghi senza Draghi». «Vantarsi di perseguirne l'agenda senza la partecipazione del tecnocrate è un'offerta politica difficile». La linea di Letta, e con lui quella dell'intero centrosinistra, non viene nemmeno rimandata a settembre, nel senso degli esami di riparazione, ma viene bocciata senza appelli. La proposta di Letta, suggerisce il quotidiano americano, per essere avvincente, «deve fare di più che ripetere Draghi, Draghi, Draghi». Ma il nodo, per il Washington Post, non è solo il ruolo del capo del governo ancora in carica. Sullo sfondo, a pesare come un macigno, c'è la questione della coalizione.
«Il suo cosiddetto campo largo ha richiesto così tanta flessibilità da parte di tutti che ha finito per allungarsi fino al punto di rottura», sostiene il quotidiano americano, «e in effetti è quello che è successo. Calenda, che ha staccato la spina, ha rotto l'accordo sostenendo che alcuni membri dell'alleanza erano populisti come la destra e avevano persino votato contro il governo Draghi». Per il Post il centrosinistra non è in grado di battere il centrodestra, guidato da Meloni-Salvini-Berlusconi. «I loro numeri semplicemente non si sommano», chiosa il quotidiano americano, sbattendo la porta in faccia al Pd di Letta. Al quale, ora, toccherà fare un video solo in americano...