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Enrico Letta? Immigrati e Greta Thunberg, panico al Pd: come si sta suicidando
Enrico Letta inizia la campagna elettorale con un'intervista a Repubblica e un'altra a Lucia Annunziata su Rai Tre, e subito regala una certezza: i voti degli italiani di centrodestra gli fanno schifo. Eppure sa benissimo che gli servono, lo dice lui stesso: «Se non convinciamo a votare per noi elettori che stavano con il centrodestra, magari anche alle ultime amministrative, la partita non si gioca nemmeno»; «Tra le associazioni che hanno chiesto che Draghi continuasse ce ne sono molte vicine in passato al centrodestra. Non voglio che votino, che so, Forza Italia». È il motivo per cui il segretario del Pd si sta industriando per mettere in piedi un'alleanza con un listone di centro nel quale dovrebbero entrare Carlo Calenda, Luigi Di Maio, Giovanni Toti, Matteo Renzi e altri. Quello che Renato Brunetta chiama «rassemblement repubblicano», insomma, al quale oggi Calenda proverà a dare pubblicamente forma, presentandone il manifesto.
LE VECCHIE BANDIERINE
Il problema è che alla premessa di Letta, all'annuncio che lui e la sua coalizione puntano ad avere il consenso di chi sinora ha votato per Silvio Berlusconi e gli altri leader di centrodestra, avrebbe dovuto seguire un discorso pragmatico e privo di ideologismi: siccome l'ora è solenne e i sondaggi sembrano condannarci, il Pd è disposto a rinunciare a qualche bandierina in nome dell'obiettivo principale, che è pescare il più possibile nell'elettorato moderato, dove ogni voto conquistato vale doppio. Il segretario del Pd, invece, fa l'esatto opposto. Guai a toccargli le sue vecchie bandierine. Insiste nella scelta ideologica più demenziale, quella della lotta ai fossili («Stare con noi vuol dire salvare l'ambiente, con loro tornare al nero fossile», dice a Repubblica). Fingendo di non sapere che Mario Draghi, la cui esperienza giura di voler proseguire, è andato a caccia di nuovi fornitori di metano per il mondo e ha riaperto le centrali a carbone.
Come possa il programma del Pd integrarsi con quello di Calenda, per il quale la strategia energetica nazionale «deve prevedere immediatamente rigassificatori e navi di rigassificazione e l'uso del carbone per dodici mesi», la «militarizzazione» del rigassificatore di Piombino e il ritorno al nucleare, da fare «in fretta», con le tecnologie attuali e non quelle future, è un mistero che al Nazareno dovranno sciogliere, se non vogliono far diventare certezza l'impressione che l'unica cosa che li tiene insieme è l'avversione a Giorgia Meloni.
Altra bandierina identitaria sventolata ieri da Letta è la concessione della cittadinanza tramite lo ius scholae. E questo come abbrivio di una campagna elettorale che si svolgerà d'estate, quando l'affluenza di barconi e barchini carichi d'immigrati sulle coste italiane è massima. Sei precetti di Greta Thunberg e la cittadinanza facile sono gli argomenti con cui Letta pensa di convincere gli elettori di centrodestra, la Meloni può già farsi il tailleur per l'insediamento a palazzo Chigi. Manca solo il rilancio della legge Zan, ma, conoscendo il tipo, se la starà tenendo calda per la prossima intervista.
GLI EQUILIBRI INTERNI
Al Nazareno dicono che, fosse per lui, probabilmente Letta farebbe una "narrazione" diversa, meno estrema. Se non altro per motivi di convenienza: stavolta non c'è nessun partito a sinistra del Pd che possa fare una seria concorrenza. Giuseppe Conte, con la sua lunga permanenza a palazzo Chigi, la sua pochette e le sue strapagate consulenze giuridiche, non ha alcuna credibilità come capopopolo dei diseredati, e dunque lo spazio politico per fare un discorso meno barricadiero e più riformista, Letta lo avrebbe. «Ma non può farlo per una questione di equilibri interni», spiegano da lì dentro. Perché nel Partito democratico che punta a conquistare i voti degli elettori moderati e conservatori e le simpatie delle categorie del mondo produttivo scese in piazza in difesa di Draghi, c'è uno zoccolo duro e spesso che questo discorso dell'apertura al centro non lo manda giù. Sono i Peppe Provenzano (vicesegretario del partito), gli Andrea Orlando (ministro del Lavoro), i Goffredo Bettini (lo stratega che spinse Nicola Zingaretti a definire Conte «punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste»), l'astro nascente Elly Schlein e altri. Quelli che, ancora oggi, nonostante tutto ciò che hanno combinato i grillini, a Calenda, Brunetta e Toti preferirebbero Conte, Paola Taverna e Danilo Toninelli, in un bel raggruppamento gauchista che si batta per difendere il reddito di cittadinanza, istituire una nuova patrimoniale e seguire i dogmi del fondamentalismo ecologista. E se costoro sono così tanti e forti da impedire al segretario di fare l'unica svolta politica sensata in un momento come questo, è difficile immaginare un futuro roseo per la costituenda alleanza di sinistracentro.