L'analisi
Centrodestra, la trappola da evitare in questa crisi: attenzione al Pd...
Draghi, come tutti i banchieri centrali, non avrà un cuore, però ha le palle. I grillini invece hanno solo delle palline sgonfiate. Si illudevano che Super Mario fosse più attaccato alla poltrona di loro ma, da pokerista quale è, l'ex governatore è andato a vederne il bluff. Il premier si è dimesso per non restare ostaggio dei ricatti di Conte, consapevole che, se avesse ceduto, poi sarebbe diventato ostaggio di quelli della Lega, e a seguire del Pd e di Forza Italia. Non è cosa da lui, che di mestiere non fa il politico né ambisce a diventarlo.
Infatti chi lo conosce bene è convinto che non tornerà indietro, malgrado stia ricevendo autorevolissime pressioni. Le dimissioni di Draghi sono il fallimento del Pd, che per interessi di bottega da tre anni fa finta che M5S sia una forza di governo responsabile e fattiva, cosa che il Salvini del Papeete, già nell'agosto del 2019, aveva capito non essere. E malgrado la Caporetto di Conte, traditore e perdente, Letta ancora persegue il sogno di un'alleanza organica con i grillini anche per la prossima legislatura, incurante della loro manifesta inadeguatezza e, ormai, inaffidabilità.
IL CERINO IN MANO Ed è per difendere il proprio partito di provenienza, appunto il Pd, che il capo dello Stato ha respinto solo apparentemente a sorpresa l'addio del premier, costringendolo a presentarsi mercoledì prossimo alle Camere per dare un'ultima occasione a Conte. Il senso del dovere e delle istituzioni farà fare anche questo passaggio al presidente del Consiglio, ma la situazione non è ricomponibile, e il capo dello Stato dovrebbe essere il primo a saperlo e a restituire la libertà all'uomo che stima così tanto ma che sta tenendo in ostaggio, non rispettando lui né la sua volontà. Letta e Renzi si sono già esposti a favore di un Draghi bis. Scontata l'adesione di Di Maio e altra paccottiglia sinistro-centrista. Il cerino però ora è nelle mani di Salvini, il quale vuole in cuor suo le elezioni, ha detto che, se cadesse il governo, la sola alternativa sarebbe il voto, ha finalmente l'occasione giusta per sganciarsi e pare intenzionato a coglierla. La Meloni, dall'opposizione, ha già sibilato che sbagliare è umano ma perseverare è diabolico, giusto per mettergli pressione. Dall'inizio dell'ammucchiata di governo il gioco dei dem è sostenere che la Lega fosse inaffidabile e remasse contro. Ora che a far saltare la mosca al naso a Draghi sono stati gli alleati di Letta, davanti a Salvini si è schiusa un'opportunità unica per sfilarsi da una esperienza di governo che gli ha divorato i consensi. Può andarsene senza che nessuno possa attaccarlo, perché le uova nel paniere le hanno rotte altri per lui.
LE REGOLE DEMOCRATICHE Per carità, il Pd proverà a dargli tutte le colpe, sosterrà che le borse crollano e lo spread si impenna a causa della Lega, anziché dei ricatti di Conte e della conseguente esasperazione del premier-banchiere, ma l'abilità del Capitano starà nel non cadere nel gioco. Certo, conta anche la posizione di Forza Italia, divisa tra i governisti a oltranza e il vertice, che non disdegna le urne. Però i ministri azzurri, dopo le dimissioni del premier hanno perso il loro campione e Berlusconi sul tema è più vicino alle posizioni di Salvini che a quelle dei suoi esponenti di governo. Se in Italia la democrazia funzionasse come negli altri Paesi Ue, si andrebbe al voto a ottobre al cento per cento e scatterebbe l'ora del centrodestra, al quale la sinistra non potrebbe che opporre una serie di figure che, per arrivare e mantenere il potere sono diventae pappa e ciccia con i grillini, ovverosia con coloro che hanno disgustato Draghi, il tecnico che tutta la sinistra ci ha sempre presentato come il migliore.