Economia di guerra
Supermercati vuoti e razionamenti, "teniamoci pronti": la frase "rubata" a Mario Draghi, scenari da incubo
Lo scostamento di bilancio non si può fare, i razionamenti sì. O almeno forse. Dopo l'annuncio, passato un po' inosservato, di Roberto Cingolani sulla possibilità che il prossimo inverno un contingentamento della domanda d'energia (leggasi razionamento) si renda necessario, Mario Draghi è tornato sul luogo del delitto. E il bello è che lo ha fatto nel corso di una conferenza stampa in cui ha spiegato in tutte le salse che usare il debito non serve perché i provvedimenti allo studio con le risorse rastrellate nelle solite pieghe del bilancio saranno «adeguati» e che non bisogna fare allarmismi, perché non stiamo scivolando in un'economia di guerra. Né verso la recessione, ma solo verso un «rallentamento della ripresa». Poi, però, ad un certo punto, incalzato dai giornalisti, ha detto che è «assolutamente necessario prepararsi: diversificazione, intervento sui prezzi, aiuto e poi, se le cose continuano a peggiorare, dovremmo cominciare a entrare in una logica di razionamento». Pratica che, a quanto sembra, non riguarderà solo l'energia, come ventilava il ministro della Transizione ecologica, ma anche il cibo. «Le mancanze di materie prime alimentari», ha precisato il premier, «vanno affrontate esattamente come stiamo facendo sulle deficienze nell'approvvigionamento di gas. Sappiamo che la sparizione temporanea dal mercato dei grani dell'Ucraina e della Russia insieme crea delle mancanze serie. Bisogna andare ad approvvigionarsi da altre parti del mondo, questo crea dei disagi, non siamo ancora riusciti a vederlo con certezza».
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PANE E PASTA
Insomma, c'è il rischio che da un momento all'altro vengano a mancare la pasta e il pane. Bisogna essere pronti «a questa evenienza», ma senza lanciare allarmi, «perché non è ancora il momento». Però, «quando sarà il caso di lanciare questo allarme», ha proseguito Draghi, «lo faremo». Capito? Potrebbe accadere tra una settimana come domani, tra un mese come tra due giorni. L'unica cosa certa, per ora, è che quando succederà, il governo ce lo dirà. È con questo messaggio di grande serenità che l'esecutivo si appresta oggi a varare il cosiddetto decreto «taglia prezzi». Un provvedimento la cui portata complessiva e i cui contenuti non sono ancora ben definiti. Le richieste sono molte, dalla Cig ai ristori diretti. Per ora di sicuro c'è solo il taglio di 15 centesimi delle accise su benzina e gasolio per due, forse tre mesi, che si auto-finanzia abbondantemente (nel senso che le uscite sono circa la metà delle entrate) con gli incassi dovuti all'extragettito Iva sui carburanti. Per quanto riguarda il resto - dagli aiuti per le bollette per le famiglie a basso reddito a quelli per le imprese - ancora non è chiara l'entità degli interventi, ma si è capito che le risorse sono scarse. Anche perché Draghi è irremovibile: «Anziché chiedere uno scostamento bisognerebbe chiedersi se i provvedimenti del governo sono adeguati e appropriati, come ci si arriva è un altro discorso». Che sembra un po' la storia del cavallo a cui non bisogna guardare in bocca. Però con lo spettro del razionamento che aleggia, qualche dubbio viene. Se la situazione potrebbe diventare drammatica, perché non intervenire in maniera massiccia per tempo, invece di aspettare il peggio?
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RISPOSTA EUROPEA
Il pensiero di Draghi è noto: il premier è convinto che la risposta alla crisi debba essere europea, sia perché fare debito per l'Italia, che ne ha già fin troppo, è una bomba ad orologeria, sia perché se l'Europa vuole essere compatta di fronte alla guerra deve esserlo anche di fronte alle sue conseguenze. È per questo che Draghi continua ad invocare il tetto Ue al gas e una riforma, sempre a livello comunitario, della formazione del prezzo dei combustibili. Ma da Bruxelles hanno già fatto sapere che di recovery bis non se ne parla. Mentre per intervenire sull'energia i tempi si preannunciano lunghissimi. Una strada senza uscita? Forse. Ma Draghi ieri ha detto che il quadro è «in evoluzione», sottolineando che il Def sarà anticipato alla fine di marzo. È in questo modo, riscrivendo i conti complessivi della finanza pubblica e rispettando in qualche modo i rituali Ue, che si aprirà probabilmente la strada all'utilizzo di risorse in deficit per fronteggiare la crisi.
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