Strane mosse
Mario Draghi, maxi-tassa sulla casa: il premier cerca la crisi? Tam-tam: il centrodestra fa saltare tutto
L'impazzimento della maionese politica si misura anche col numero di bufale che riguardano il governo. Una è quella che dipinge Mario Draghi indebolito dalla mancata elezione al Quirinale: è vero il contrario, semmai. Il presidente del consiglio ha spedito al parlamento l'avvertimento definitivo: o fanno come dice lui oppure lui si dimette, forte del fatto che al suo esecutivo non c'è alternativa, e che se saltasse lui a Sergio Mattarella non resterebbe altro che sciogliere le Camere. Sfide che può permettersi solo chi non ha nulla da perdere. Un'altra bufala è uscita dalla bocca dello stesso premier pochi giorni fa, quando in conferenza stampa ha dichiarato che la legge delega per la riforma fiscale, all'interno della quale è prevista la revisione del catasto, è stata «votata all'unanimità» dal consiglio dei ministri, e dunque «è difficile cambiarla ora». Non è vero, non andò così. Era il 5 ottobre e la Lega, non soddisfatta del testo, non partecipò alla riunione e non lo votò. Matteo Salvini fu chiaro: «Il nostro consenso non c'è».
E dunque non ci fu nemmeno l'unanimità che Draghi ora invoca come ragione per non toccare quel disegno di legge. La questione è centrale, perché il combinato disposto delle due cose - l'intenzione del premier di sbattere la porta se i partiti della maggioranza non lo seguono e la sua volontà di non modificare quel testo - mette in pericolo il governo e la legislatura, e quindi il rispetto del Piano nazionale di ripresa concordato con la Ue. Tant' è che il testo uscito quel giorno da palazzo Chigi è fermo. Non sarà esaminato dalla commissione Finanze di Montecitorio, dove lo aspettano da tempo, nemmeno la settimana entrante. In attesa, probabilmente, che la questione sia affrontata da Draghi con Salvini, nel confronto che i due dovrebbero avere nei prossimi giorni («ma non è stato ancora fissato alcun appuntamento», dicevano ieri sera gli uomini del segretario leghista). Alla determinazione del premier, infatti, si contrappone tuttora quella della Lega.
Che ha piazzato un ordigno. «Abbiamo presentato un emendamento per stralciare da quel testo la riforma del catasto, perché questa significa più tasse sulla casa per tutti, un aumento dei valori Isee e quindi meno welfare per le famiglie», spiega Alberto Gusmeroli, vicepresidente della commissione Finanze e responsabile della Lega per le politiche fiscali. Quanto alle case non accatastate, che Draghi dice di voler trovare e colpire, secondo Gusmeroli «non c'entrano nulla con la riforma del catasto, si possono accatastare anche adesso». Quell'emendamento è stato firmato non solo dal capogruppo della Lega, Riccardo Molinari, ma anche dai suoi pari grado di tutti gli altri partiti e partitini del centrodestra: Paolo Barelli (Forza Italia), Francesco Lollobrigida (Fdi), Marco Marin (Coraggio Italia) e Maurizio Lupi. E prima di esso, a giugno, c'era stato il documento delle commissioni Finanze di Camera e Senato, in cui la maggioranza convenne di non indicare il catasto fra i temi da includere nella riforma fiscale. _= Nulla di questo sembra avere fatto cambiare idea a Draghi. I documenti del governo, anzi, confermano i peggiori sospetti: nella relazione sulla riforma del fisco presentata a ottobre dal ministero dell'Economia è scritto che la riforma del catasto è «coerente» con le raccomandazioni europee che chiedono all'Italia di «ridurre la pressione fiscale sul lavoro, e di compensare tale riduzione con (...) una riforma dei valori catastali non aggiornati». L'ammissione ufficiale che l'operazione è fatta (anche) per aumentare il gettito delle imposte sugli immobili già accatastati. La responsabilità del possibile patatrac, quindi, oltre che sulla Lega e gli altri partiti, ricade sullo stesso Draghi: davvero è pronto a mettere in gioco il futuro del governo, della legislatura e dei soldi europei per torchiare ancora di più i proprietari di case?