Risposte implicite

Giancarlo Giorgetti, "solo per avvantaggiare qualcuno?". La mossa per fermare Giorgia Meloni

Antonio Rapisarda

Il giorno dopo l'ufficializzazione del modulo di Giorgia Meloni e di Fratelli d'Italia («Giocheremo in attacco»), rivolto agli avversari, al governo ma anche agli alleati "da ritrovare", le reazioni nel campo del centrodestra sono tatticamente fredde e all'insegna della diplomazia. Ad esprimersi, senza rispondere direttamente alla leader di Fratelli d'Italia - che non ha nascosto, in Direzione nazionale, l'Opa sull'elettorato moderato che ha animato l'esperienza del Pdl -, due big di peso di Forza Italia e Lega: entrambi dal congresso di Azione, il partito di Calenda.

 

Ad aprire alla necessità di una revisione della coalizione, una delle condizioni di fondo per la fondatrice di FdI, è stato Antonio Tajani: «Il centrodestra deve essere certamente riformato», anche se il motore di questa intesa «sicuramente siamo noi». Per il coordinatore degli azzurri ciò significa non disconoscere - e qui si discosta dal modello su cui insiste Meloni - l'esperienza e la necessità delle larghe intese. «Abbiamo messo l'Italia davanti a tutto senza rinunciare alla nostra identità», ha sottolineato riconoscendo come non sia facile «tenere insieme Speranza e Tajani, Letta e Salvini». Ma anche qui c'è un "ma": «Quando c'è un interesse prioritario, quando c'è da fare qualcosa che una maggioranza politica da sola non ce la fa a fare, è bene mettersi al servizio del Paese».

IL MINISTRO
Una risposta più precisa ai "non possumus" di Meloni, per quanto implicita, è giunta poi da Giancarlo Giorgetti: sulla carta il più draghiano della compagine leghista. Per il titolare del Mise, a proposito di legge elettorale (punto su cui la leader di FdI, a proposito di ritorno al proporzionale, ha posto un vero e proprio paletto), non va tirata per la giacchetta la stagione del governo di unità: «Non vorrei che tutta questa necessità e urgenza di riforme e cambiamento, che in parte viene portata avanti dal governo Draghi, si riducesse alla discussione sulla legge elettorale e in particolare sul proporzionale». Certo, Giorgetti ha spiegato di non avere «tabù» sul tema ma pensare al proporzionale «solo per avvantaggiare qualcuno è sbagliato». Per il leghista, al contrario, la legge elettorale «deve poter dare un governo che abbia la possibilità di incidere a livello nazionale ed europeo».

 

METÀ CAMPO
Dunque? Da Forza Italia e Lega non sono giunti segnali di chiusura ma nemmeno aperture così nette da rimettere presto in moto un cammino comune sullo schema rilanciato dalla leader di FdI. Quest' ultima ieri è tornata a ribadire, a proposito del suo "no" al proporzionale, la necessità di difendere una delle conquiste storiche del centrodestra: «Il bipolarismo esiste nel sentimento degli italiani, che sono di centrodestra odi centrosinistra. E noi lavoriamo perché questo ci sia in ogni caso. Tutto il resto sono alchimie di Palazzo». Proprio alla luce di ciò il percorso autonomo emerso alla plenaria di FdI è già avviato: «Quello a cui lavoro è un centrodestra che sappia difendere con orgoglio questa metà del campo. E noi questo chiediamo agli altri: chiarezza e volontà». Che per Meloni vuol dire preferire questa metà del campo «piuttosto che preferire di governare col Pd». Resta il punto, al di là delle dichiarazioni dei big: il dialogo con Salvini e Berlusconi è ripreso? «Il tema non è sentirsi o non sentirsi. Ci sentiremo...», ha chiosato Giorgia per la quale il punto vero è «che cosa ci diciamo. Io la mia posizione l'ho espressa: chiedo che si cambi passo completamente. Vediamo gli altri che cosa faranno».