Il politologo

Centrodestra, Roberto D'Alimonte: Lega-FdI? "Ecco qual è il vero problema", come non far morire l'alleanza

Fausto Carioti

«Non credo all'ipotesi della fine del centrodestra». Chi parla è il professor Roberto D'Alimonte, attento osservatore delle dinamiche dei partiti e fondatore del Cise, il Centro italiano studi elettorali della Luiss. «Nonostante le divergenze interne alla coalizione», spiega, «gli incentivi che spingono a stare insieme sono tali per cui sarebbe irrazionale dividersi. Tra questi incentivi ci sono anche i meccanismi con cui si eleggono sindaci e presidenti di regione. Con le attuali regole, insomma, dividersi vuol dire perdere su tutta la linea, sia a livello locale che a livello nazionale».

Iniziamo allora dalle regole attuali, professore. Il Rosatellum, il sistema che abbiamo adesso, è ritenuto da Enrico Letta, e non solo da lui, «la peggiore legge elettorale che ci sia». È così?
«Non è una buona legge elettorale, ma non è la peggiore. Nel nostro contesto, ad esempio, un sistema proporzionale con una soglia bassa sarebbe peggio».

Che difetti ha la legge attuale?
«Il principale sta nel fatto che i collegi uninominali sono pochi per incidere significativamente sull'esito della competizione da un punto di vista sistemico, ma sono sufficienti per spingere i partiti ad aggregarsi prima del voto, allo scopo di massimizzare la possibilità di vittoria».

 

 

E il risultato qual è?
«La logica aggregativa del maggioritario prevale su quella individualistica del proporzionale, nonostante il fatto che circa due terzi dei seggi siano assegnati con formula proporzionale. In termini banali è un sistema elettorale che non è né carne né pesce».

I sistemi elettorali di Comuni e Regioni, invece, funzionano bene. Dimostrano che l'Italia non è condannata all'ingovernabilità e ai ricatti dei partitini.
«Nel caso di Comuni e Regioni non solo sono stati introdotti sistemi elettorali proporzionali con premio di maggioranza, ma è stata introdotta l'elezione diretta del sindaco e del presidente di regione. È questo mix a garantire la stabilità degli esecutivi in presenza di una elevata frammentazione partitica, senza sacrificare eccessivamente la rappresentatività».

Quindi per consentire agli italiani di eleggere "il sindaco d'Italia", come diceva un vecchio slogan, è indispensabile riscrivere la Costituzione?
«Sì. Il modello del sindaco è una delle riforme che si potrebbe introdurre a livello nazionale per raggiungere gli obiettivi già conseguiti a livello locale, ma richiederebbe senza dubbio la modifica della Costituzione. L'Italicum invece è stato il tentativo di fare una cosa simile senza modificare la Costituzione, ma finì come sappiamo».

Giorgia Meloni propone il sistema presidenziale con l'elezione diretta del capo dello Stato. Si potrebbe risolvere così almeno una parte dei problemi della nostra democrazia?
«No. Meglio, con i necessari correttivi, l'elezione diretta del presidente del consiglio, cioè il modello del sindaco. Le alternative percorribili sono un modello semi-presidenziale simile a quello francese o una versione riveduta dell'Italicum, che preveda l'elezione "diretta" del premier e un sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza e ballottaggio».

 

 

Molti partiti chiedono invece una legge proporzionale con una soglia di sbarramento presumibilmente bassa, che consentirebbe a ognuno di correre per conto proprio. Quali sarebbero le conseguenze per il nostro sistema?
«L'ingovernabilità e il potere sproporzionato dei piccoli partiti, o addirittura di singoli parlamentari».

Eppure la vogliono in tanti. A chi converrebbe?
«A chi teme di non essere competitivo con un sistema maggioritario. A chi pensa di potere lucrare una rendita di posizione. A chi vuole avere le mani libere per decidere dopo il voto con chi allearsi. In questo momento a favore del proporzionale sono schierati il M5S, Leu, tutti i piccoli partiti di centro e una bella fetta del Pd».

Pure Enrico Letta, infatti, ci sta facendo un pensiero. Vede in questo cambio di idee il tentativo del Pd di piazzarsi al centro di ogni futura alleanza, governando anche con partiti schierati alla sua destra, come Forza Italia e magari (persino) la Lega?
«Con il proporzionale le maggioranze di governo si fanno dopo aver contato i voti. E potrebbe anche succedere che, escludendo Fdi da qualsiasi combinazione, per arrivare al 51% dei seggi sia necessario mettere insieme Pd e Lega o Pd e Forza Italia. Dipenderà dai numeri che usciranno dalle urne quali combinazioni saranno possibili, matematicamente e politicamente. Diversi partiti potrebbero trovarsi nella posizione di essere indispensabili».

Dicevamo del centrodestra. Si è spaccato all'inizio di questa legislatura ed è rimasto diviso per quattro anni. Ora siamo a un momento di svolta nella storia della coalizione?
«Il centrodestra si è già diviso spesso nel passato. È successo nel 2011, quando Forza Italia ha appoggiato il governo Monti. È successo nel 2013, quando Forza Italia ha sostenuto il governo Letta. È successo con il "patto del Nazareno", quando Berlusconi ha trattato con Renzi sulla riforma costituzionale. È successo nel 2018, quando Salvini è andato al governo con il M5S. E ogni volta, a livello di elezioni locali e di elezioni nazionali, si è sempre ricomposto. Gli elettori hanno ingoiato tutto».

Crede che andrà così anche questa volta?
«Credo proprio di sì, a meno che pure Salvini non viri verso la riforma elettorale proporzionale. Ma faccio fatica a crederlo».

L'impressione è che il centrodestra sia esploso nell'istante in cui Berlusconi non ha più potuto esserne il federatore. Oggi nessuno pare in grado di svolgere un simile ruolo.
«Il ruolo di Berlusconi come collante del centrodestra è indiscutibile. Il problema però è anche un altro: in questo momento non esiste un partito dominante all'interno della coalizione. Berlusconi ha potuto fare quello che ha fatto perché per un quarto di secolo è stato il leader del primo partito del centrodestra. Se oggi la Lega fosse al 30% non credo che sarebbe in discussione la leadership della coalizione. Il problema è che nel centrodestra di oggi ci sono due partiti che hanno più o meno lo stesso peso».

L'idea era quella di rendere capo della coalizione, e quindi candidato premier in caso di vittoria, il leader del partito che prende più voti. Sembra non funzionare, però.
«Salvini pensava di fare così dopo il suo successo nelle elezioni politiche del 2018 e alle successive Europee. A parte il piccolo particolare che questa formula trascurava il ruolo del presidente della repubblica, ora che i rapporti di forza tra Lega e Fdi sono cambiati quella formula non gli va più bene. Ma non è facile trovarne un'altra che abbia una qualche legittimità. Così Berlusconi, in questa incertezza, pensa di riappropriarsi del ruolo di leader».

 

 

Forza Italia è sotto al 10%, come potrebbe riuscirci?
«Sfruttando il suo pacchetto di voti, che sono pochi ma decisivi, e la sua posizione centrale nello spazio della politica italiana».

Nel bene e nel male, questa è stata la legislatura dei Cinque Stelle. Dove andranno i voti che stanno perdendo?
«Si disperderanno. Molti finiranno nell'area del non voto. Altri finiranno sia a destra che a sinistra, qualcuno anche alla estrema sinistra. E non si può escludere che dalle ceneri del movimento di Grillo nascano altri movimentini che arricchiranno, si fa per dire, il panorama già frammentato del nostro sistema partitico».