Il grande tessitore

Gianni Letta, il piano segreto: "Tandem Draghi-Cartabia". A cosa lavora il consigliere di Silvio Berlusconi

Fausto Carioti

Il miglior stratega dei palazzi romani, Gianni Letta, è al lavoro per Mario Draghi. Aiutare il banchiere romano nella sua ascesa al Quirinale è la missione segreta e parallela che il consigliere di Silvio Berlusconi si è messo sulle spalle, con il consenso del Cavaliere e d'intesa con i vertici di Mediaset. «Gianni Letta è impegnato a vedere quante possibilità ci sono di mettere in piedi il "governo dei leader", e lo sta facendo per conto di Draghi», racconta chi lo ha visto all'opera da vicino. Cosa c'entri la formula di governo evocata da Matteo Salvini con i disegni del plenipotenziario abruzzese, è semplice da spiegare: se si vuole mandare Draghi lassù, oggi non si vedono altri modi per trattenere la Lega nella maggioranza, creare un nuovo esecutivo forte, garantire la durata della legislatura e convincere i peones a scrivere il nome di Draghi sulla scheda.

Una soluzione "tutto compreso", dunque: Quirinale e palazzo Chigi nello stesso pacchetto. La premessa, ovviamente, è il passo indietro di Berlusconi. In tal caso, negli auspici di Gianni Letta e di altri che lo circondano, il Cavaliere dovrebbe lanciare la candidatura di Draghi, sul cui nome l'intesa tra i capi di partito si potrebbe chiudere facilmente. Difficile sarebbe invece rassicurare le truppe, dare ai parlamentari la garanzia che un governo senza Draghi avrebbe la forza necessaria per portare la legislatura alla scadenza naturale, preoccupazione principale di deputati e senatori. Nello schema disegnato da Draghi e Gianni Letta, questo esecutivo non potrà essere guidato da un esponente di partito, poiché qualunque nome incontrerebbe più veti che consensi. La soluzione passa quindi per la promozione a premier di un tecnico dell'attuale governo: Marta Cartabia (le cui quotazioni sono in ascesa), Vittorio Colao o Daniele Franco.

 

 

Cosa resterebbe ai partiti, con Draghi alla presidenza della repubblica e un "draghetto" alla guida del governo? È qui che l'idea di Salvini torna utile: un esecutivo con dentro tutti i pezzi da novanta avrebbe una forza politica innegabile, anche agli occhi dei parlamentari terrorizzati dallo spettro del voto anticipato. Darebbe inoltre ai segretari di partito una notevole visibilità, utile in vista delle elezioni politiche che si terranno nel 2023.

L'esecutivo sarebbe solido, nessuno potrebbe dire che i partiti hanno fatto harakiri e l'italiano più apprezzato nel mondo finirebbe al Quirinale, da dove potrà essere utile al vincitore delle prossime elezioni (motivo per cui la stessa Giorgia Meloni lo spedirebbe volentieri lassù). Tutto perfetto, quindi? Ovviamente no. Certo, molti ci guadagnerebbero qualcosa. Salvini, che non gradisce l'idea di mandare Draghi sul Colle, avrebbe comunque ciò che più desidera, ossia l'opportunità di tornare al Viminale e mostrare a tutti la differenza tra lui e Luciana Lamorgese. Enrico Letta potrebbe vantarsi di aver fermato Berlusconi, e magari tornare pure lui ministro. Matteo Renzi potrebbe reclamare, per sé o per la sua fedelissima Maria Elena Boschi, un dicastero di primo piano. I forzisti avrebbero la certezza della durata della legislatura (con Antonio Tajani finalmente nel governo) e Giuseppe Conte riapparirebbe, da ministro, sul grande palcoscenico. Altri, però, ci perderebbero.

 

 

Qualunque cosa ne pensi il loro capo, la convinzione dominante tra i Cinque Stelle è che il premier non deve muoversi da palazzo Chigi, e ieri lo hanno ribadito. Lo stesso Conte si è sentito in dovere di avvertire gli altri leader: «Non so se riuscirei a mettere in piedi una nuova delegazione di governo». Nella Lega, a rimetterci sarebbe l'ala moderata, quella che oggi affianca Draghi e fa capo a Giancarlo Giorgetti. Per questi e altri motivi, Renzi ha le sue ragioni nel dire che il governo dei leader «ha un senso, ma non è probabile». L'alternativa prevede di scegliere per il Quirinale un nome che non metta paura ai parlamentari (Sergio Mattarella se accettasse, o uno come Pier Ferdinando Casini). Draghi rimarrebbe a palazzo Chigi un altro anno, alla guida di un governo comunque "rimpastato" e un po' più solido. La ricompensa per lui sarebbe, nel 2024, la presidenza della Commissione Ue o quella del Consiglio europeo. Non è il piano A di Draghi, che vorrebbe trascorrere i prossimi sette anni sul Colle più alto di Roma, ma è la sua via d'uscita, da imboccare qualora la missione di Gianni Letta fallisse.