Voci (a sinistra)
Giancarlo Giorgetti premier, perché tutto dipende da Draghi: indiscrezioni, gode la Lega (e terrore nel Pd)
Con Mario Draghi al Quirinale potremmo vedere un leghista a Palazzo Chigi. Il retroscena è del Corriere della Sera, secondo cui a poco più di due settimane dall'inizio delle votazioni per il Colle, l'unica candidatura "solida" (perché in grado di pescare voti a destra come a sinistra) resta quella del premier, nonostante il caos dell'ultimo consiglio dei ministri.
Anzi, paradossalmente le difficoltà di Draghi nel gestire le tensioni dei partiti potrebbero essere il viatico per una sua promozione al ruolo super partes di presidente della Repubblica, lasciando il campo a un nuovo premier e, forse, a nuove geometrie politiche nella maggioranza. "Chi vuole Draghi al Quirinale si impegni a trovare una nuova squadra", intimava Matteo Renzi poche ore fa. E ovviamente questo sta già accadendo.
C'è chi parla di un "governo-fotocopia", con un premier il più tecnico e insipido possibile. Ma secondo il Corsera sul tavolo c'è l'ipotesi che la scelta cada su un politico, e di spessore. Sul colore, è rebus.
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"Quelli di Italia Viva sono convinti che il leader della Lega in quel caso non resterebbe un minuto di più nella maggioranza", spiega il quotidiano diretto da Luciano Fontana. Si tornerebbe, dunque, a una formula più vicina al "giallorosso", con Dario Franceschini candidato "naturale" a Palazzo Chigi. Sarebbe in ogni caso un governo elettorale, "che fronteggi il Covid, gestisca il Piano nazionale di ripresa e resilienza e, forse, vari una nuova legge elettorale proporzionale, nel segno delle mani libere per tutti".
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L'alternativa a un piedino sarebbe Luigi Di Maio, visto che il Movimento 5 Stelle è pur sempre partito di maggioranza relativa. Ma se la Lega non decidesse per lo strappo, anche con l'uscita di scena di Draghi, allora potrebbe essere la volta di Giancarlo Giorgetti. Una tentazione ventilata soprattutto dalle fonti di centrosinistra, velenosamente, per mettere in difficoltà Salvini: la Lega rischierebbe infatti di finirebbe come "il sacco dei pugni" del malcontento popolare, un inevitabile boomerang a livello elettorale.