Quale futuro?
Giancarlo Giorgetti premier? La pista prende quota: il patto per Palazzo Chigi con Mario Draghi al Quirinale
C'è una nuova categoria di depressi della politica: sono gli aspiranti alla presidenza della repubblica che non si chiamano Mario Draghi. Con la parziale eccezione di Silvio Berlusconi («tira dritto ed è convinto di avere il centrodestra dalla propria parte», dicono i suoi), il sentimento prevalente tra gli altri, al termine della conferenza stampa di fine anno, era lo sconforto. L'allievo dei gesuiti ha giocato bene le carte, facendo capire di essere disponibile al trasloco e invocando per il prossimo capo dello Stato una maggioranza ampia quanto quella che sorregge il suo governo, ma è riuscito a farlo senza eccedere nella smania e inviando messaggi tranquillizzanti a chi dovrebbe votarlo.
Una mossa necessaria per arginare l'avanzata del Cavaliere, la cui candidatura stava crescendo anche perché, sinora, era l'unica sulla piazza. Fatto sta che oggi le quotazioni di Draghi sono più alte di quanto fossero due giorni fa. Com'era nelle previsioni, ha detto che la missione che gli era stata affidata può considerarsi conclusa, almeno nella parte più importante: «Abbiamo fatto un lavoro perché l'operato del governo continui indipendentemente da chi ci sarà». La traduzione non è difficile: la mia presenza a palazzo Chigi non è necessaria e fosse per me la legislatura andrebbe avanti sino alla fine. Un segnale per tutti i parlamentari timorosi che il suo arrivo al Quirinale possa provocare elezioni anticipate.
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SALTO NEL VUOTO
Nulla ha potuto dire, invece, per sciogliere l'altro nodo che lo tiene legato alla poltrona di palazzo Chigi. Tra un mese, di fatto, i "grandi elettori" sceglieranno non solo il capo dello Stato, ma anche il presidente del Consiglio: se Draghi si trasferirà lassù, chi guiderà l'esecutivo? A quale nome pensa quando dice che il governo può andare avanti «indipendentemente da chi ci sarà»? In assenza di garanzie sul premier, l'istinto di sopravvivenza porterà i parlamentari a eleggere un candidato diverso da Draghi, evitando così che la legislatura faccia un salto nel vuoto. Andrea Marcucci, senatore del Pd, lo ha detto senza giri di parole: «Se c'è o ci sarà accordo dei partiti sul nome di Draghi al Quirinale, si cominci a parlare anche del candidato/a per la successione a Chigi». Serve un "ticket", dunque. Draghi deve avere un compagno di cordata, anche se, per ragioni istituzionali, non potrà presentarlo come tale.
Le soluzioni sul suo tavolo sono tre. La prima è la più "naturale": siccome l'emergenza italiana è innanzitutto economica, il ministro dell'Economia, Daniele Franco, viene promosso premier e, protetto dallo scudo di Draghi, se la vede con i partiti nell'ultimo anno della legislatura, il più difficile. Il problema, spiega chi in questi mesi ha lavorato con lui, è che Franco è «un tecnico molto solido, ma non ha carisma né dimestichezza con la politica». Due difetti che certo non appartengono a Draghi. Lo scudo del Quirinale, insomma, dovrebbe essere molto robusto. È il rischio che corre anche l'altra possibile soluzione tecnica, che corrisponde al ministro della Giustizia, Marta Cartabia. Ha un ottimo rapporto con Draghi e il vantaggio mediatico di poter essere il primo premier donna.
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Nel Pd sono convinti che sia lei quella con più probabilità di spuntarla, ma la sua capacità di resistere alle richieste dei partiti è un'incognita. Il terzo nome è quello di un politico: Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega e ministro dello Sviluppo economico. Ha costruito un rapporto personale eccellente con Draghi, che per questo ha pensato a lui. Puntare su Giorgetti, però, significherebbe provare a cambiare il corso della Lega e lanciare il guanto di sfida a Matteo Salvini: un'operazione azzardata. Nessuna soluzione è indolore, insomma. Draghi ha poche settimane per decidere qual è la migliore. Se non ne troverà nessuna, rischierà di subire il sorpasso: ad opera del determinatissimo Berlusconi oppure di Giuliano Amato, Paolo Gentiloni o uno degli altri che intanto se ne stanno nascosti, sperando che il premier commetta l'errore fatale.